In un lungo viaggio anche le soste intermedie forzate possono avere un fascino alieno e bizzarro. Uno scalo bollente a Doha, sauna nel deserto con le palme finte giustapposte a quelle vere, puzza di cammelli, edifici asettici come quelli delle miniature. Tra le cose divertenti che non farò mai più c’è la gita in giro per Doha, organizzata dalla compagnia aerea di bandiera per chi ha abbondanti ore di attesa per il prossimo volo. La guida, una ragazza della Repubblica Ceca, una dei tantissimi stranieri che qui vivono e lavorano, mi spiega il Paese, edulcorando il tutto, «ofcors». Quando atterro a Seoul ho nella testa assopita da un volo surgelato e dai pasti abbondanti a orari improbabili solo una prassi burocratica: documenti all’immigrazione, attesa bagaglio, scheda telefonica, prelievo soldi, collegamenti ferroviari. Sudo sotto il peso degli zaini in uno stato di eccitazione e stanchezza. Tra deviazioni e giri su me stessa riemergo dal sottosuolo e sono lì, per strada, a Seoul, in un ginepraio di luci al neon e vicoli che si intrecciano. Le sere sono ancora umide, a fine settembre, e nei giorni seguenti pioverà quella pioggia calda e fine che da queste parti è di casa.

Mi addormento e mi sveglio a mezzogiorno; mi avventuro alla ricerca della fantomatica prima impressione, un misto di smarrimento e gioia infantile. Entro in un museo e due donne coreane, dietro di me in fila alla biglietteria, pretendono di pagarmi l’ingresso perché la mia carta di credito non funziona e «devo vedere questa mostra». La retrospettiva è su Chang Ucchin, pitture a olio in uno stile favolistico di alberi, montagne, lune e uccelli e sì, i dipinti sono bellissimi. Cammino molto fino ad arrivare nel cuore del turismo delle bancarelle sceme, ma io sono furba e non mi faccio certo fregare! Eppure, ci sono cose che fa il turista che sono necessarie, a Seoul è visitare i palazzi imperiali principali, in perfetta armonia tra la natura e la civiltà stratificata nel tempo. Mi ricordo bene quel pomeriggio: sono salita fin su nel quartiere delle case tradizionali, Hanok, nella parte nord della città, tra negozietti di cianfrusaglie e bistrot. Ogni giorno che dedico a Seoul è per un quartiere diverso, a volte prendo abbagli e mi ritrovo a mangiare in una bettola i noodles confezionati di 7eleven! Alterno quartieri «ggiovani» ai musei di arte contemporanea, agli angoli in cui sono l’unica occidentale in assoluto sopravvissuta a qualche carestia. Seoul non è molto diversa da altre città asiatiche in cui il tessuto urbano è fatto di edifici che contengono, a matrioska, magazzini, bar, hotel, appartamenti, centri estetici. Cunicoli di meraviglie e contraddizioni. Ed è solo l’inizio.