Dopo un brillante esordio poetico, nel 2016, affidato alla ricerca di una lingua per raccontare il suo vissuto di giovane americano di origine vietnamita, Ocean Vuong torna alla scrittura in versi con una seconda notevole raccolta di poesie, Il tempo è una madre (traduzione di Damiano Abeni e Moira Egan, Guanda, pp. 172, € 19,00) dove continua l’esplorazione delle vicende personali e del trauma della guerra ereditato dai familiari, approdati in America nel 1990 come rifugiati politici quando Vuong aveva due anni. Il libro è stato preceduto da un altrettanto brillante esordio nella narrativa, Brevemente risplendiamo sulla terra, romanzo scritto in forma di lettera indirizzata da un figlio, l’autore stesso, alla madre illetterata in una lingua, l’inglese, a lei estranea. L’incipit di questo romanzo – «Ciao Ma’, ti scrivo per avvicinarmi a te […] Scrivo per tornare indietro nel tempo» – risuona anche nelle ventotto poesie del nuovo libro composte dopo la prematura scomparsa della madre. La sua assenza inaugura per il poeta un altro tempo, il tempo del lutto, del peso travolgente della memoria, della parola che sviscera il dolore e rigenera. In un testo centrale, Künstlerroman, Vuong crea un particolare ritratto d’artista ‘premendo’ sul tasto rewind per tornare, appunto, a ritroso nel tempo e comporre su un immaginario schermo la sua biografia intrecciata alla storia del paese adottivo – l’11 settembre, la morte di Gheddafi, l’invasione in Iraq – e alla storia della sua famiglia, rivedendosi ragazzo e bambino in istantanee che mostrano momenti di violenza alternati a altri di quotidianità.

Riavvolgere il nastro della vita è la tecnica che Vuong ha finora adottato nella sua scrittura facendo sfumare l’autobiografia nel mito e nel surreale. Onnipresente nell’opera di Vuong, qui la madre è avvolta in un’aura mitica e torna a essere la destinataria assente dei messaggi lirici del figlio. In «Cara Rosa», una tenera elegia per Hong, nome vietnamita della donna che significa appunto rosa, la scrittura poetica s’incarna in una madre dall’infinito potere rigenerante. «Lasciami ricominciare adesso/che te ne sei andata», scrive Vuong, «se mi leggi allora sei sopravvissuta/alla tua vita». La lingua recupera il tempo, in questa poesia carnale e delicata, e se la «cara lettrice» legge le parole del figlio a questi sarà possibile dire: «ho fatto sopravvivere la mia vita nella tua». Il titolo del libro enuncia dunque una tesi che Vuong scioglie in uno stile complesso ma prossimo emotivamente, concreto e avvolgente, lieve ed elegante. In prosa e in versi, questi testi  prendono forme diverse sulla pagina, saturandosi di immagini magnifiche e imprevedibili maturate in un corpo inscritto in una precisa storia che è anche il suo «ultimo indirizzo».