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Brescia avvelenata di Pcb. Un’emergenza infinita

Il sequestro della Caffaro, storica azienda nel cuore di Brescia foto AnsaIl sequestro della Caffaro, storica azienda nel cuore di Brescia – foto Ansa

Clima Le recenti piogge record hanno fatto alzare la falda di 6 metri, contaminati i terreni sotto la ex Caffaro azienda di policlorobifenili

Pubblicato 8 giorni faEdizione del 19 settembre 2024

Per l’ennesima volta l’emergenza deflagra nel sito di interesse nazionale Brescia – Caffaro: le piogge record degli ultimi cinque mesi hanno fatto alzare la falda di 6 metri, facendo sì che giungesse in parte a dilagare i terreni avvelenati sotto la fabbrica e quindi a contaminarsi. Arpa, nei giorni scorsi, rilevava così che Cromo e Clorati erano cresciuti di dieci volte superando rispettivamente di 400 e 6mila volte i limiti di legge. Ma ci sono altri inquinanti che destano preoccupazione: il mercurio, all’interno del reparto clorato, è arrivato al suo massimo storico (149 microgrammi al litro). Nel piezometro vicino al reparto che produceva Arseniato di Piombo risulta in aumento l’Arsenico (oltre 2400 microgrammi al litro). Certo, l’acqua potabile per i bresciani viene garantita dai sistemi di depurazione e abbattimento degli inquinanti di A2A e dal fatto che i pozzi dell’acquedotto pescano più in profondità, mentre si attende la messa in funzione di due nuovi pozzi della barriera idraulica del sito per potenziare l’emungimento e la depurazione della falda, abbassandone di nuovo il livello. Ma è evidente che la soluzione definitiva non può che essere la messa in sicurezza e la bonifica del sito industriale che si attendono da oltre 20 anni.

UN TEMPO DI ATTESA ENORME ed insopportabile per un Sin, Brescia – Caffaro, che, oltre all’eccezionale tossicità dei veleni dispersi in ambiente (Diossine, PCB, mercurio, arsenico, solventi clorurati…), presenta la straordinaria particolarità di interessare direttamente un’importante porzione della città, dove vivono circa 25 mila abitanti. Forse nel 2025 dovrebbero avviarsi i cantieri con una previsione ad oggi difficile da definire per la conclusione di un’operazione che appare di estrema complessità (la fabbrica è incistata dentro la città a poca distanza dal centro storico).

CURIOSAMENTE NEL GIUGNO SCORSO si era concluso con l’assoluzione il primo spezzone con rito abbreviato del processo penale che coinvolgeva, tra gli altri, anche il primo Commissario ministeriale incaricato della bonifica, che operò per circa quattro anni senza risultati apprezzabili, accusato di inquinamento ambientale colposo non avendo fatto nulla per evitare un’ulteriore dispersione di mercurio: ebbene, è stato assolto in primo grado, perché non sarebbe provato che quell’aggravamento fosse imputabile allo stesso Commissario per la bonifica. E ci mancherebbe altro, viene da dire. A complicare l’iter di questo nuovo processo (il precedente venne archiviato nel 2010 per avvenuta prescrizione) occorre ricordare un precedente inconsueto: il Gup, nell’udienza preliminare del 26 settembre 2023, aveva escluso Medicina Democratica come parte civile nel processo che stava iniziando sul Caso Caffaro con la motivazione che non sarebbe stato dimostrato e quantificato il danno subito dall’associazione (tema proprio del processo…).

Il risultato clamoroso è che il processo si è così avviato senza parti civili, visto che coloro che erano già stati individuati come parti offese, Ministero e Comune di Brescia, hanno deciso di non costituirsi. Un unicum a livello nazionale, secondo Medicina Democratica. Un segnale preoccupante che fa il paio con il clamoroso colpo di scena dei giorni scorsi che rischia di annullare “Ambiente svenduto”, il più importante processo per inquinamento industriale che a Taranto in primo grado si era concluso con importanti condanne sia di imprenditori che di rappresentanti istituzionali. Episodi che forse si spiegano con il pesante velo di oblio e di indifferenza che da alcuni anni ha coperto il capitolo, mai seriamente affrontato, dei troppi siti industriali che hanno inferto ferite profonde in tanti territori del Belpaese, sacrificando l’ambiente naturale ma anche la salute di lavoratori e cittadini. Purtroppo, temo che a questa rimozione abbia concorso anche il riduzionismo, ormai da tempo imperante, della crisi ambientale alla questione climatica, riduzionismo che ha lambito anche parte del movimento ecologista. Così, sono slittate in secondo piano o addirittura sono uscite di scena le criticità strutturali dell’attuale sistema economico, che continua a prelevare enormi risorse naturali, non solo energetiche, e a sversare in ambiente scorie, rifiuti, inquinanti tossici per la natura e per l’uomo, non solo CO2. I siti industriali inquinati stanno lì a testimoniare questo disastro già prodotto nel passato, ma ignorarne lo scandalo è del tutto logico se si vuole continuare su quella strada anche in futuro.

TORNANDO AL CASO CAFFARO, oltre al gravissimo ritardo dell’avvio del processo di bonifica, occorre segnalare lo scandalo di decine di migliaia di cittadini, vittime dell’inquinamento da diossine e Pcb (con livelli record di questi tossici nel sangue e nel latte materno ed esposti a patologie certificate dalle autorità sanitarie, come tumori collegati agli interferenti endocrini, cancro primario del fegato, malattie cardiocircolatorie…) costretti a convivere con i propri orti e giardini inquinati da diossine a livelli anche superiori ai limiti industriali. Ebbene, a tutt’oggi, questi cittadini sono abbandonati a sé stessi e non si prevedono per il futuro risarcimenti per i danni subiti o progetti di bonifica.

IN QUESTO QUADRO DESOLANTE va registrato un fatto sorprendente che sembra persino miracoloso, frutto del concorso di tante e variegate volontà. Questa storia tragica non verrà cancellata: al Museo dell’industria e del lavoro, che faticosamente si sta costruendo a Brescia, sono stati ceduti tre pezzi di impianti Caffaro di grande valore; ma soprattutto alla Fondazione Micheletti sono stati concessi in comodato gli archivi storici della Caffaro e gli edifici, non inquinati, della Direzione e gli uffici della stessa azienda, dove verranno ospitati insieme a tutti gli archivi ambientali della Fondazione (Nebbia, Conti, Ravaioli, Bettini…), diventando la sede del Centro di storia dell’ambiente, fondato nel 1999 da Giorgio Nebbia e da Pier Paolo Poggio, di cui con grande difficoltà stiamo cercando di portare avanti l’eredità. Ma di questo dovremo riparlarne.

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