Bastano due giorni per arrivare a una giornata che suona come una resa dei conti interna alla Lega. Il tracollo elettorale precipita nel cuore del partito: il Consiglio federale, organismo collegiale che riunisce i segretari regionali, i rappresentanti eletti dalle principali regioni del nord e (come auditori senza diritto di voto) i presidenti di Regione, i capigruppo e Giancarlo Giorgetti in qualità dio vicesegretario federale. Il contesto, insomma, non sarebbe per definizione ostile a Matteo Salvini.

EPPURE le tensioni degli ultimi tempi, culminate con il pessimo risultato delle politiche, vengono rappresentate da un incidente che dal punto di vista simbolico oltre che sostanziale conta parecchio: il grande vecchio della Lega Umberto Bossi, dopo 35 anni di presenza in Parlamento, non è stato eletto. È come se una bandiera venisse ammainata, anche perché lo stesso Salvini, che pure era divenuto segretario della Lega dopo gli scandali che avevano travolto Bossi e la sua famiglia, aveva garantito che una postazione d’onore a Roma, e dunque un collegio sicuro per il fondatore, «ci sarebbe stato sempre». Il fatto è che neanche un collegio che fino a poco tempo fa sarebbe stato blindato nella provincia di Varese può essere considerato «sicuro» per la Lega che ha perso la primazia in moltissimi territori del Nord.

DALL’ABBATTIMENTO della statua del grande capo storico al processo a Salvini è un attimo. «Bossi stato travolto dalla debacle della Lega. Va assunto come simbolo della vecchia Lega che viene travolta anche se quella a dire la verità era già stata travolta dalla politica centralista che Salvini ha dato al partito» attacca ad esempio l’ex ministro Roberto Castelli. Lo stesso Bossi, che fa sapere che questa volta non si voleva candidare, non ci va leggero: «Il popolo del Nord esprime un messaggio chiaro ed inequivocabile che non può non essere ascoltato», dice il patriarca ultraottantenne.

ALL’INDOMANI del voto, Salvini aveva provato a giustificare la débacle scaricandola su quelli che lo avevano spinto a sostenere il governo Draghi, in primis Giorgetti. Quanto a Bossi, auspica che venga nominato senatore a vita: «Sarebbe il giusto riconoscimento dopo trentacinque anni al servizio della Lega e del paese». Alcuni ricorderanno che solo pochi anni fa il leader leghista aveva proposto l’abolizione della carica dei senatori a vita. Per altro, la proposta è irrealizzabile: la riforma costituzionale che ha tagliato il numero dei parlamentari prevede che ogni presidente della Repubblica possa nominare cinque senatori a vita. Dunque, Mattarella ha già dato.

VA GIÙ DURO anche un’altra figura storica come Roberto Maroni. «Ora si parla di un congresso straordinario della Lega. Ci vuole. Io saprei chi eleggere come nuovo segretario. Ma, per adesso, non faccio nomi», scrive sul Foglio l’ex ministro degli interni. Tuttavia, la tradizione del partito che blinda il suo leader e lava i panni sporchi al suo interno regge. Quando, in serata, il consesso di via Bellerio finisce i partecipanti fanno muro, e negano che ci sia qualsiasi ipotesi di avvicendamento ai vertici. «La leadership di Salvini è a rischio? Non credo proprio», dice uscendo il presidente della regione Lombardia, Attilio Fontana. Il messaggio finale conferma la fiducia al capo ma contiene anche un riferimento alla base e ai presidenti di Regione che somiglia a una specie di cordone di sicurezza attorno Salvini. «La Lega potrà recuperare il consenso grazie ai risultati che otterrà nel governo di centrodestra, e Matteo Salvini avrà un ruolo fondamentale, ripartendo anche dall’ascolto del territorio e dalla valorizzazione dei tanti amministratori, a partire dai governatori».

LA CARICA importante per Salvini cui fa riferimento il comunicato, tuttavia, non è affatto scontata: dall’entourage di Giorgia Meloni trapela che difficilmente tornerà a sedere al Viminale. Il che significa che Salvini rischia di essere un leader debole: potrebbe diventare vicepremier ma resterebbe comunque appeso alla tutela dei presidenti di Regione che da tempo mostrano di tollerarlo a fatica.

LA LEGA, si apprende più avanti, «chiederà di inserire il tema dell’autonomia nel primo consiglio dei ministri». Per la settimana prossima è previsto un altro consiglio federale «per costruire insieme il governo di centrodestra». Il rischio è sotto gli occhi di Meloni: che la Lega scarichi le sue tensioni interne sul programma e la composizione del futuro governo. La partita a scacchi è solo all’inizio.