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Bonaccini e il palliativo «più forte di prima»

Bonaccini e il palliativo «più forte di prima»Stefano Bonaccini a Modigliana, Cesena, dopo l’alluvione del maggio 2023 – LaPresse

Solo qualche mese fa, nel dare l’annuncio delle proprie dimissioni all’assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini ha giustamente ricordato che gli anni della sua presidenza si sono rivelati anche quelli «del […]

Pubblicato circa 2 mesi faEdizione del 22 settembre 2024

Solo qualche mese fa, nel dare l’annuncio delle proprie dimissioni all’assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini ha giustamente ricordato che gli anni della sua presidenza si sono rivelati anche quelli «del terremoto e della ricostruzione, la pandemia che il mondo non conosceva da un secolo e l’alluvione dello scorso anno».

A quel punto sarebbe stato davvero formidabile se il suo discorso si fosse concluso con l’esortazione a non considerare l’emergenza storica delle zoonosi o del surriscaldamento globale un brutto incidente, riconoscendo il ruolo che continueranno ad avere nelle nostre vite e nella necessità di spostare gli orizzonti della politica, ma non è andata così. Anzi, nonostante l’evidenza di un territorio che si era scoperto molto più vulnerabile di quanto non si potesse comprendere all’inizio del suo mandato, Bonaccini ha dichiarato che la sua regione, oggi, è «più forte di prima».

Ai paradossi di questo genere, di norma, giunge in soccorso l’idea che la forza stia proprio nel prendere atto di una debolezza, una morale del limite e della sua elaborazione che tutto sommato risulta davvero pertinente alla condizione terrestre. Ma non è questo il caso. Al contrario, se l’uomo di Bonaccini trova salvezza nella catastrofe è soltanto perché non deve cambiare nulla, appartenendo alla razza di quegli «emiliano-romagnoli che pur davanti a tragedie si sono rimboccati le maniche senza lamentarsi» e confermandosi il tipo che «nel momento in cui si rialza, si guarda indietro per vedere se c’è qualcuno cui tendere la mano».

Da indigeno e pronipote di indigeni non posso che sentirmi lusingato, allora, se non fosse che nel frattempo il negativo rimane sempre là fuori, dall’altra parte, a manifestarsi sottoforma di natura furibonda ma anche nella scoperta di un limite che dovrà eventualmente riguardare, se proprio, la gente di Lucca o di Cremona.

Avrà ragione chi dovesse replicare che si tratta soltanto di un discorso, ma la logica che sottende va ben oltre. Oltre le parole di Bonaccini e il caso specifico dell’Emilia-Romagna, per estendersi al carattere intimamente palliativo che tende ad assumere la politica nei tempi eccezionali in cui viviamo. Perché sono tempi che comporterebbero l’esplicitazione e la condivisione di un lutto, anche letterale, laddove i decisori si direbbero incapaci di rinunciare alla postura del Dottor Pangloss e alla pessima abitudine di ripetere che quello dovuto ai loro provvedimenti, alla fine, risulta il migliore dei mondi possibili. Più forte di prima, appunto, anche se certamente esposto a una serie di minacce sempre più inaudite che si potranno soltanto aggravare mimetizzando la loro portata nella manutenzione dell’esistente.

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