L’ultimo Bollettino economico della Bce si può riassumere facilmente: spegnere le tensioni inflazionistiche, costi quel che costi. Anche al prezzo di assecondare la recessione.

Questo, ovviamente, Eurotower non lo dice, ma è implicito nelle decisioni di politica monetaria che sta assumendo. «Prossimamente sarà opportuna un’ulteriore normalizzazione dei tassi di interesse», si legge nel documento.

Significa voler aggredire l’inflazione chiudendo i rubinetti del credito. Un altro rialzo dei tassi dopo la manovra di luglio. Meno soldi per imprese e famiglie, meno consumi e investimenti, prezzi che rientreranno nella normalità (obiettivo 2%).

Non solo. I governi, d’ora in poi, dovranno dosare meglio le «misure temporanee e mirate» che si adotteranno per mitigare l’impatto sui cittadini della crisi in atto. Spendere di meno, insomma. Che troppa spesa fa inflazione. Un richiamo alla morigeratezza dei bilanci statali.

Sembrerebbe tutto abbastanza razionale. Nondimeno, è proprio dalla lettura del Bollettino che si evincono alcune contraddizioni. «L’attività economica sta rallentando. L’aggressione della Russia verso l’Ucraina rappresenta un freno alla crescita. L’impatto dell’elevata inflazione sul potere d’acquisto, i perduranti vincoli dal lato dell’offerta e la maggiore incertezza esercitano un effetto frenante sull’economia». E non c’è domanda in eccesso.

Mettiamo in fila le cose.

La guerra è causa di una pesante crisi energetica i cui effetti si riversano sui costi di produzione delle imprese. Il resto lo fanno le «interruzioni nelle catene di approvvigionamento», le cosiddette «strozzature dal lato dell’offerta».

Costi di produzione elevati e colli di bottiglia alla base di «pressioni sui prezzi che si stanno diffondendo in un numero crescente di settori». Potremmo aggiungere anche la speculazione sul prezzo delle materie prime.

Ma tant’è. La Bce certifica che l’inflazione è prevalentemente da costi e che essa rischia di combinarsi ad una nuova fase recessiva. A maggior ragione se Mosca taglia del tutto le forniture di gas.

Il conflitto russo-ucraino potrebbe determinare anche un ulteriore «deterioramento del clima di fiducia», nonché «aggravare i vincoli dal lato dell’offerta, mentre i costi dei beni energetici e alimentari potrebbero rimanere persistentemente più elevati del previsto». Lo scenario più cupo, nel quale ad un arretramento dell’economia, già in atto, non si accompagnerebbe un arretramento dei prezzi.

La stretta monetaria, insomma, impatterebbe sull’economia assecondando il ciclo senza risolvere il problema dell’inflazione. Ipotesi più che realistica, considerata la natura e l’origine della fiammata dei prezzi.

La Bce, comunque, si sta muovendo con più prudenza di altre banche centrali.

E’ il caso di ricordare, infatti, che l’istituto centrale del Regno Unito (Boe) ha appena annunciato il sesto rialzo dei tassi di interesse in sette mesi (tasso guida dall’1,25% all’1,75%). Una manovra così aggressiva non si vedeva da ventisette anni.

A Londra paventano che l’inflazione, attualmente al 9,4%, possa salire fino al 13% entro l’anno, con un picco al 15% all’inizio del 2023. Sarebbe devastante.

Non meno devastante, tuttavia, di un prolungato periodo di recessione, che pure i membri del Monetary Policy Committee hanno dovuto prendere in considerazione. La loro previsione, invero, è che l’economia inglese andrà in recessione alle fine di quest’anno e ci rimarrà fino al 2025. C’entreranno anche le loro scelte di politica monetaria. Come per la Fed e la Bce, però, si tratta di un prezzo che bisogna pagare.

Ovvero, che la parte più debole della società dovrà pagare. Per essere più precisi.