Il colpo di scena arriva quando il sistema di potere che controlla la Fifa da 17 anni – da tanto durava il regno di Sepp Blatter – sembrava aver assorbito anche l’ultimo terremoto, a pochi giorni dalla spettacolare retata di alti esponenti dell’organismo che governa il calcio mondiale, con la rielezione a presidente dell’immarcescibile dirigente elvetico.

Ma una delle ultime scosse di assestamento deve essere stata fatale al 79enne “padrino” del football globale, che ieri ha convocato una conferenza stampa a Zurigo per annunciare le sue dimissioni.

A quattro giorni dalla quinta rielezione, le condizioni devono essere sembrate proibitive anche a una “pellaccia” come lui. Da un lato la freddezza ostile con cui molte federazioni avevano accolto la riconferma; dall’altro il progresso delle indagini parallele in corso negli Stati uniti e in Svizzera; poi lo sconcerto che iniziava a serpeggiare tra i potenti sponsor coinvolti nei traffici Fifa; e da ultimo l’affondo del New York Times di lunedì che tira in ballo l’alleato più fidato di Blatter, il segretario generale Jérôme Valcke, per una maxi-tangente da 10 milioni di dollari che nel 2008 il Sudafrica avrebbe versato per assicurarsi l’assegnazione dei Mondiali 2010.

Il governo sudafricano ha smentito non tanto il passaggio di denaro quanto la definizione di tangente, perché i soldi erano un contributo allo sviluppo del calcio nell’area caraibica, a sostegno della diaspora africana. Oltretutto i 10 milioni, secondo la ricostruzione degli inquirenti Usa, in Sudafrica non li hanno neanche visti. La Fifa, su richiesta della Federazione di Pretoria, doveva stornarli dai 423 milioni destinati all’organizzazione del Mondiale sudafricano per girarli al progetto Diaspora Legacy della Concacaf, la Federazione per il Centroamerica, il Nordamerica e appunto i Caraibi, i cui membri avevano votato a favore del Sudafrica.

Il tweet con la “pistola fumante” ha fatto il giro del mondo:

Ma i soldi sono ricomparsi in parte nei conti personali del presidente Concacaf di allora, Jack Warner, uno degli arrestati, e del segretario generale Chuck Blazer, detto Mister 10%, personaggio chiave dell’inchiesta statunitense perché da un paio d’anni sta aiutando l’Fbi a ricostruire un ventennio di corruttele con al centro i diritti e le sponsorizzazioni gestite dalla Fifa. L’operazione venne autorizzata da Julio Grondona, all’epoca capo del comitato finanziario Fifa. Grondona è morto lo scorso anno, ma l’e-mail rivelata dal NYT prova che Valcke era perfettamente al corrente del passaggio di denaro sospetto. E se lui sapeva, il suo capo poteva non sapere?

Sia come sia, anche nel frangente della sua uscita di scena Blatter si conferma personaggio spregiudicato, autocratico e volitivo. Le dimissioni le rassegna, ma di farsi da parte non ci pensa proprio. Per eleggere il successore è necessario il voto del congresso Fifa e il prossimo è fissato per il 13 maggio 2016 a Città del Messico. Blatter nella sua magnanimità non vuole restare in carica un altro anno. Chiederà dunque la convocazione un congresso straordinario, ma «secondo le regole e lo statuto della Fifa», in modo da «lasciare il tempo ai migliori candidati per presentarsi e per fare la propria campagna».

Nel frattempo, non essendo egli candidato ad alcuna carica, «libero dai vincoli che le elezioni inevitabilmente impongono» si prende la briga di riformare il sistema calcio e i meccanismi che lo governano, mettendo mano ai criteri elettivi del comitato esecutivo della Fifa, centralizzando i controlli sull’integrità etica e morale dei suoi membri, introducendo un tetto al numero dei mandati per tutti, a cominciare dal presidente. Tanto non sarà più lui.

Blatter lascia e svanisce (si fa per dire) in una nuvola di amore e odio. Persino il New York Times gli riconosce l’impegno per lo sviluppo del calcio nel «terzo mondo» e non è un caso se l’ex calciatore Kalusha Bwalya, oggi a capo della federazione zambiana, si definisca «choccato» dalle dimissioni improvvise e ricordi come Blatter si sia sempre speso per l’Africa: «Ma anche in Inghilterra e in Germania hanno beneficiato della sua opera – ha sibilato – e Platini è stato antisportivo nel chiedergli per tre volte di farsi da parte».

Il principe Ali bin al Hussein, fratello del re di Giordania, nelle elezioni di venerdì scorso si era fatto da parte dopo la prima tornata di voti, persa 133 a 73. È sicuro che ci riproverà, mettendo a frutto la rete di consensi costruita nelle ultime settimane. Stavolta però si troverà di fronte Luis Figo, ex fuoriclasse di Real Madrid e Inter, che ieri ha esultato per «l’inizio di una nuova era» ma allo stesso tempo ha invitato alla calma. Con Blatter (ancora) di mezzo, non si sa mai.