Keir Starmer (Ap)
Keir Starmer
Europa

Blairismo 2.0 senza soldi. Ecco il Labour di Starmer

Il congresso di Liverpool Completi e tailleur, cautela cronica e partito sterilizzato. Che pure vincerà, ma suo malgrado
Pubblicato 12 mesi faEdizione del 11 ottobre 2023

Attimi prima che Keir Starmer prendesse la parola dinanzi alla platea anelante per il suo discorso al congresso di Liverpool, un soprassalto di tensione: sfuggito al servizio d’ordine, un uomo irrompe sul palco, getta paillettes sul leader laburista, urla «la vera democrazia è guidata dai cittadini, chiediamo un parlamento del popolo, la politica ha bisogno di aggiornamento!» prima di venir trascinato via dal servizio d’ordine e poi arrestato. Mentre scriviamo non ne sono chiare identità o affiliazione.

UN AVVIO AGITATO per il leader, in un’atmosfera appesantita e spodestata dai fiumi di sangue versato in Israele: ma noi siamo il partito del potere, non della protesta – come avrebbe commentato poco dopo la ministra-ombra dell’interno Yvette Cooper. Sfavillante suo malgrado, Starmer si mette in maniche di camicia per il resto del suo cauto discorso, infarcito di topoi che ormai fanno sanguinare le orecchie: «ricostruire la Gran Bretagna», «rimettere in piedi l’Nhs», l’agonizzante sistema sanitario nazionale difeso a parole e privatizzando nei fatti; «la (ri)crescita economica»; più-polizia-nelle-nostre-strade-per-la-nostra-sicurezza, oltre alla naturale condanna senza appello della furia di Hamas in Israele. Poco o nulla sulla «pazzia» del clima, ormai normalmente catastrofico.

Un discorso, il suo, preceduto da quello assai meno aeriforme di lunedì della ministra-ombra delle finanze Rachel Reeves, in cui già esponeva le proprie credenziali a futura leader. Ultime grida della savana socialista? L’innalzamento del salario minimo, per portarlo in linea con il costo della vita, l’eliminazione dei contratti a zero ore e «più» diritti per i lavoratori. Il resto è il solito, consunto bignami keynesiano in salsa Galbraith: costruire un milione e mezzo di case, nuove infrastrutture, città più prospere, parchi.

Il sindacato Unite – che del partito è principale sostenitore economico e il cui ex segretario Len McCluskey era ferreo alleato di Jeremy Corbyn – critica la mancata nazionalizzazione di gas ed elettricità. Unica nazionalizzazione sposata controvoglia dalla direzione, quella delle sciagurate ferrovie. Niente imposte sugli extra-profitti, niente nazionalizzazioni dei servizi pubblici. There is no alternative e It’s the economy, stupid sono le due massime tatuate sotto i completi e i tailleur che ripopolano il centro congressi di Liverpool.

Sì, perché dopo le purghe della sinistra corbyniana filopalestinese e il silenziatore alle lagne su Brexit, l’era Starmer è percorsa in punta di piedi, schiacciata dal cretinismo dei Focus group e dalla sondaggite cronica. Il Labour è stretto tra l’incudine della cautela, per non farsi accusare dai conservatori di politiche troppo “audaci” (redistributive) e il martello dell’incisività, indispensabile per evitare che la sua stessa base e il resto del paese si addormentino o finiscano in bocca a un partito conservatore ridotto a congrega razzistoide e sovranista. Su questa base Starmer si prepara a governare per due mandati, anche se non sarà lui a vincere, quanto i Tory di Rishi Sunak a perdere.

IL COSPICUO VANTAGGIO che il Labour ha sui conservatori è, infatti, dovuto al disgusto del paese per i tredici anni di macelleria sociale presieduti da questi ultimi. Tanto che l’invito ai Tory delusi non suona affatto proveniente da una lontana galassia come dovrebbe. Passate a questo Labour, li esorta Starmer: ora che il partito conservatore è in mano alla rozza congrega, i suoi moderati possono disinvoltamente transumare ai laburisti, ormai indistinguibili dalla sinistra conservatrice. Il fottio di standing ovation di una platea molleggiata convinta che sarà la volta buona ripaga (Sir) Keir. Non a caso l’ex governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney ha dato il proprio appoggio a Rachel Reeves, non a caso ricicciano gli sbiaditi Ed Miliband e Yvette Cooper, o sboccia il furbo David Lammy. È l’eterno ritorno del blairismo, ma senza i soldi dei bei tempi.

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