Giorgia Meloni è impaziente. Non aspetta la fine del consiglio dei ministri. Anticipa la conferenza stampa ufficiale, alla quale come d’abitudine non partecipa, per lanciare su Fb il suo proclama: «Abbiamo varato la Nadef. Stiamo lavorando per scrivere una manovra economica all’insegna della serietà e del buon senso»: anche i bambini capiscono che si intende «dell’austerità». Aggiunge che il segno della manovra sarà anche «mantenere gli impegni presi con gli italiani». La faccia tosta in politica è indispensabile. Rivendicato anche lo «stop agli sprechi del passato». È un modo come un altro per addossare al solito Superbonus ogni colpa.

La domanda chiave, alla vigilia del consiglio dei ministri, riguardava il deficit. Era chiaro come il 3,7% concordato con l’Europa non fosse più realistico. Non era chiaro di quanto il governo intendesse sforare. Il balzo è rilevante, sino al 5,3% e al 4,3% l’anno prossimo. Un Giorgetti particolarmente ruvido e all’apparenza contrariato difende la scelta. Ma quando gli chiedono se la Ue è d’accordo si capisce che il ministro, pur dichiarandosi ottimista, non può esserne certo: «Credo che nella commissione ci siano persone che hanno fatto politica e fanno politica a differenza dei banchieri centrali che fanno un altro mestiere e altri tipi di valutazione, sicuramente comprenderanno la situazione come la comprendono molti colleghi ministri».

Le richieste dei partiti erano state avanzate già nella riunione di maggioranza che aveva preceduto il consiglio dei ministri. I condoni edilizi invocati dalla Lega sono bocciati senza appello. Le privatizzazioni sulle quali puntava Forza Italia ci saranno, nella misura dell’1% del Pil, ma Giorgetti sottolinea che a decidere il quando e il come sarà lui e per quanto riguarda Mps, «non essendoci necessità di fare cassa» sarà appunto «il ministro dell’Economia a decidere «se e quando uscire». Per il rincorrersi di voci su un progressivo disimpegno del Tesoro a fine giornata il titolo Mps aveva chiuso con un pesante -6,6%.

Resta il Ponte di Salvini sul quale nel pomeriggio si era registrato il gelo di Fdi e Fi: «Nel 2024 ci sarà un primo stanziamento connesso all’effettivo allestimento del cantiere». Comunque tutto dipenderà «dal profilo temporale del progetto e dai relativi stati d’avanzamento». Se c’erano dubbi sullo stato d’animo severo che anima Giorgetti spariscono quando il ministro chiarisce anche al suo leader che i soldi arriveranno solo quando i progetti partiranno davvero. E non basta. Solo pochi ministeri hanno risposto all’appello presentando l’elenco dei tagli per la Spending review, che deve portare in cassa 2 miliardi. Giorgetti passa alla clava: «Il lavoro che non hanno fatto i singoli ministri lo farà il ministro dell’economia e intensificherà i tagli».

La tensione con la Bce si avverte a pelle anche se Giorgetti non la conferma e nega ogni possibile intreccio con la partita del Mes: «Non vedo la correlazione e onestamente questa retorica di uno scambio tra il Mes e scostamenti vari io non l’ho mai posta e mai ne ho sentito parlare. Sono tavoli diversi». Però quella tensione si palesa quando il ministro afferma di confidare «che la Bce sappia gestire gli strumenti di cui dispone con saggezza e lungimiranza per garantire la stabilità del sistema». Giorgetti insiste più volte sulle doti delle scelte fatte, «serie e responsabili come si vede dalle scelte sulla spesa pubblica e come si vedrà dalla legge di bilancio». È evidente che, dopo la decisione di sforare molto più massicciamente del previsto, teme, o forse prevede, che la trattativa, a Bruxelles, possa rivelarsi assai difficile.

La premier assente torna a farsi sentire in serata, in via informale. Ringrazia Giorgetti. Afferma che «i nostri margini sono ristretti ma dobbiamo dimostrare di essere una nazione credibile e solida». Mette le mani avanti: «Governare vuol dire fare scelte e darsi priorità con lo scopo non di inseguire il consenso ma di raggiungere risultati». Sa che la sua manovra scontenterà tutti a casa e forse farà anche imbufalire i guardiani del rigore fuori casa.