Israele avrebbe offerto «una nuova proposta globale» per un accordo di cessate il fuoco con Hamas e per il rilascio degli ostaggi. A sostenerlo è Joe Biden. È in tre fasi, ha precisato ieri il presidente Usa. La prima, di sei settimane, prevede «un cessate il fuoco pieno e completo, il ritiro delle forze israeliane dalle aree popolate di Gaza e il rilascio di un certo numero di ostaggi, tra cui donne, anziani, feriti in cambio di centinaia di prigionieri palestinesi». I civili, secondo Biden, potranno tornare alle loro case in tutte le aree di Gaza, compreso il nord. La seconda prevede la cessazione delle ostilità «in base alle trattative che avverranno nella fase uno». Infine, nella fase tre «inizierà un importante piano di ricostruzione di Gaza». «È ora che questa guerra finisca, che inizi il giorno dopo», ha concluso Biden esortando Hamas ad accettare la proposta.

Non è chiaro quanto sia realmente una offerta israeliana e quanto una forzatura degli Usa, dato che il primo ministro israeliano Netanyahu ha ripetutamente promesso di non fermare l’offensiva a Gaza finché Hamas non sarà distrutto. Appena due giorni fa, il suo consigliere Tzachi Hanegbi aveva detto ai parenti degli ostaggi che il governo non è nemmeno disposto ad accettare un accordo che vedrebbe il rilascio di tutti i rimanenti 125 ostaggi se fosse condizionato alla fine della guerra. Da parte sua Hamas ripete che riprenderà le trattative per il rilascio degli ostaggi solo se Netanyahu fermerà l’offensiva in via definitiva.

In serata Netanyahu ha chiarito che pur avendo autorizzato la squadra negoziale a presentare uno schema per raggiungere la liberazione degli ostaggi, allo stesso tempo «la guerra non finirà finché non saranno raggiunti tutti gli obiettivi prefissati, compreso il ritorno degli ostaggi e l’eliminazione dei miliziani e del governo di Hamas».

Netanyahu si sente più forte ora che un sondaggio lo pone, per la prima volta in un anno, davanti al suo principale rivale Benny Gantz nel gradimento degli israeliani. E riguardo la guerra a Gaza fa capire di sentirsi come Churchill, Roosevelt e De Gaulle. L’altra sera ha paragonato l’offensiva a Gaza allo sbarco degli alleati in Normandia, durante un’intervista alla tv francese TF1. «Quando andiamo a Rafah, è l’equivalente dello sbarco in Normandia, dell’attacco alleato contro la Germania» ha detto, sostenendo che Israele fa il possibile per evitare vittime civili. «Non facciamo quello che facevano gli alleati a Dresda, non facciamo a Gaza un tappeto di bombe». I civili di Gaza sotto le bombe hanno una idea molto diversa. Khan Yunis, larghe porzioni di Gaza city, il nord della Striscia e molte altre località sono una distesa di palazzi sventrati e macerie. Così è anche Jabaliya, la città e il campo profughi, che ieri i reparti corazzati israeliani hanno lasciato dopo due settimane di combattimenti violenti e oltre 200 attacchi aerei. Alcuni abitanti hanno riferito che l’esercito uscendo da Jabaliya ha sparato verso una folla di persone.

Israele invece afferma di aver ucciso centinaia di combattenti palestinesi a Jabaliya dove avrebbe scoperto lanciarazzi, depositi di armi e una rete di tunnel lunga 10 km. Comunque sia, la promessa di Netanyahu di sradicare Hamas come forza politica e combattente si scontra con le profonde radici del gruppo islamico nel tessuto sociale di Gaza e con la sua organizzazione militare. Ieri è stata annunciata la morte in combattimento di altri due soldati israeliani, in totale sono 294 dalla fine di ottobre.

Uguale resistenza le truppe israeliane incontrano a Rafah. Dopo aver occupato il Corridoio Filadelfia, l’esercito israeliano continua ad avanzare nel centro della città palestinese. Sarebbero stati uccisi 18 membri di Hamas responsabili da Gaza per le operazioni militari in Cisgiordania. Il Jihad islami afferma di aver sparato una raffica di colpi di mortaio contro soldati e veicoli israeliani nelle vicinanze della Porta Salah Eddin, ai margini meridionali di Rafah. Si registrano morti e feriti anche tra i civili. Giovedì 12 palestinesi erano stati uccisi da un raid aereo sulla città teatro domenica sera di bombardamento che ha innescato un incendio in una tendopoli di sfollati che ha ucciso almeno 45 persone. Nel frattempo, l’afflusso di aiuti umanitari resta limitato per la chiusura del valico di Rafah e a causa delle restrizioni che Israele attua contro l’agenzia dell’Onu per profughi palestinesi Unrwa.