«Aspettiamo i voti veri, poi parleremo», si affannava a ripetere ieri sera il ministro Meir Cohen, vicino al premier Yaor Lapid. Ma la più alta affluenza alle urne, 66,3% alle ore 20, registrata in Israele da 22 anni a questa parte ha dato al blocco di destra la maggioranza che Benyamin Netanyahu cercava per riprendersi la poltrona di primo ministro. Ma gli exit polls diffusi dalle tre principali reti televisive alla chiusura delle urne alle 21 italiane, hanno più di tutto evidenziato il trionfo della destra più visceralmente estremista e razzista. Sionismo religioso, la lista elettorale guidata da Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir che in Europa verrebbe facilmente etichettata come neofascista, ha conquistato 14-15 seggi, il doppio di quelli conquistati nel 2021. Ben Gvir, che ha oscurato lo stesso Netanyahu per tutta la campagna elettorale, ha festeggiato per ore con i suoi fedelissimi. Già fondamentalmente di destra, Israele con Sionismo religioso terza forza alla Knesset, si allinea, anzi supera per estremismo, alcuni dei paesi europei, a cominciare dall’Italia, dove sono arrivate ai vertici del potere formazioni della destra più radicale. Il successo del blocco pro-Netanyahu è reso ancora più ampio dal fallimento parziale dei partiti arabi. Il partito Tajammo/Balad, sceso in campo da solo, avrebbe fallito per pochi voti l’ingresso in Parlamento. Un dato che ha favorito il raggiungimento della maggioranza di destra.

Il ritmo della giornata è stato scandito dai bollettini sui dati dell’affluenza alle urne e dagli appelli di Lapid e Netanyahu ad andare a votare. Con il passare delle ore è apparso chiaro che la partecipazione stava superando ogni previsione. La campagna elettorale sonnolenta che ha preceduto le votazioni ha nascosto la determinazione di simpatizzanti e militanti del Likud e di Sionismo religioso di dare a Netanyahu i numeri necessari per formare una coalizione stabile di governo. La stella della destra comunque non è più Netanyahu. Il fuoriclasse di queste quinte elezioni si è confermato Itamar Ben Gvir. È stato infaticabile anche nel giorno delle elezioni. Non si è fermato un attimo, si è spostato in auto o in elicottero ovunque per esortare i suoi sostenitori, in gran parte giovani, ad aiutare a dare vita al governo in cui intende far parte come ministro della sicurezza pubblica, incarico che gli permetterà di approvare misure senza precedenti contro i «nemici», i palestinesi in Israele e nei Territori occupati. E anche di proporre leggi e provvedimenti per limitare i diritti civili e delle minoranze e l’autonomia dei giudici.

«Questa è una sirena di allarme»: con questo titolo a lettere cubitali, in ebraico e in arabo, il quotidiano liberal-progressista Haaretz ieri ha voluto sottolineare il rischio che «forze anti-democratiche, che vogliono plasmare Israele a loro piacimento» riescano a formare un governo. «Si tratta di un pericolo immediato», ha avvertito il direttore del giornale Aluf Ben nel suo editoriale dal titolo: «(Votate) chiunque, eccetto Netanyahu e Ben Gvir». Il giornale ha condiviso il senso di allarme anche con la minoranza araba, alla luce dei sondaggi che per settimane hanno dato una percentuale di partecipazione al voto più bassa tra i cittadini arabo israeliani (21% della popolazione) rispetto alla maggioranza ebraica. Nel sistema elettorale israeliano, le oscillazioni della partecipazione araba al voto influenzano sempre i risultati del blocco delle destre, poiché gli arabi votano per i loro quattro partiti – Hadash, Taal, Tajammo (Balad) e l’islamista Raam – o per i partiti del centrosinistra. Di conseguenza più è alta l’affluenza araba e meno deputati andranno alla destra. Le cose non  sono andate come molti speravano.

Per gli attivisti dei partiti arabi – uno dei quali, Balad, era dato dai sondaggi sotto la soglia di sbarramento del 3,25% – non è stato facile portare alle urne la loro base elettorale (1,1 milioni) e provare a raggiungere la percentuale di partecipazione al voto intorno al 60%, necessaria per avere almeno 12 parlamentari.  L’elevata affluenza degli israeliani ebrei peraltro ha fatto salire il numero minimo di voti per entrare nella Knesset da 145mila a circa 160mila. Amaro il commento del giornalista, Jack Khoury. «Dal 2015 agli arabi è stato più volte chiesto di votare sulla base del fatto che si trattava di elezioni cruciali» ha ricordato «Parole pronunciate continuamente dai leader di partito…Ma gli elettori arabi sono stufi di tali dichiarazioni». Molti palestinesi d’Israele ieri hanno disertato le urne, ha spiegato Khoury, perché pensano che il loro voto sia inutile. L’ingresso di un partito arabo, Raam, nel governo Lapid, ha sottolineato, invece di aiutare a rendere più inclusiva la società israeliana ha prodotto una crescita senza precedenti dell’estrema destra.