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Bibi cerca amministratori indipendenti per Gaza. L’Anp: «è destinato a fallire»

Soldati dell’Idf posano davanti a delle macerie a Gaza foto ApSoldati dell’Idf posano davanti a delle macerie a Gaza foto Ap

Senza tregua Irrealistico il piano presentato dal premier israeliano per il «dopo Hamas». Blinken condanna le nuove costruzioni nelle colonie ebraiche in Cisgiordania

Pubblicato 7 mesi faEdizione del 24 febbraio 2024

«Israele rifiuta completamente i diktat internazionali su un accordo sullo status finale con i palestinesi». È questo in sostanza il piano di Benyamin Netanyahu per il futuro di Gaza e più in generale per i Territori occupati palestinesi. Il resto è solo fumo. Qualsiasi persona di buon senso e con un minimo di conoscenza della situazione sa che non esistono gli «amministratori locali» indipendenti da Hamas, dall’Autorità nazionale palestinese (Anp) e altre formazioni che Israele sta cercando, secondo quanto afferma il primo ministro di destra, per governare Gaza nel cosiddetto «day after». Solo dei collaborazionisti potrebbero accettare l’offerta di Netanyahu mentre le forze militari israeliane occupano (e occuperanno) Gaza. Proprio ieri funzionari dell’Amministrazione Biden, hanno detto che Israele non sarà in grado di raggiungere il suo obiettivo di eliminare del tutto Hamas da Gaza. Netanyahu e il gabinetto di sicurezza, al quale giovedì sera il primo ministro ha consegnato il suo «piano», conoscono bene questa realtà. Tuttavia, possedere una «visione del giorno dopo» è ciò che serve a Israele in questa fase per allentare le pressioni che giungono Usa, Ue e vari paesi per il rilancio della soluzione dello Stato palestinese nei Territori occupati. Impedire la nascita di uno Stato di Palestina sovrano in Cisgiordania e Gaza, con capitale la zona araba (Est) di Gerusalemme, era e resta l’impegno di Netanyahu e di gran parte dei partiti presenti nella Knesset.

Fino ad ora Netanyahu, nonostante l’insistenza degli Usa, non aveva presentato alcuna visione per Gaza. E ben poco c’è di nuovo nella sua proposta. Il testo del piano, diffuso dal suo ufficio, contiene punti che non fanno altro che ripetere cose che il premier afferma da settimane. Gli obiettivi a breve termine dell’offensiva contro Gaza sono gli stessi: distruggere le capacità militari e le infrastrutture governative sia di Hamas che del Jihad islami e garantire il rilascio degli ostaggi (ieri le loro famiglie hanno attuato altre proteste a Tel Aviv). Israele manterrà la libertà di movimento a Gaza e creerà (lo sta già facendo) una zona cuscinetto. La ricostruzione di Gaza, si legge nel documento, sarà possibile solo quando la Striscia sarà stata «smilitarizzata e deradicalizzata». Il piano di riabilitazione sarà portato avanti con finanziamenti e sotto la guida di paesi approvati da Israele.

Netanyahu infine pensa di affidare l’amministrazione della Striscia a non meglio precisati «professionisti con esperienza manageriale» che non legati con «paesi o organizzazioni che sostengono il terrorismo». Chi siano questi manager indipendenti nessuno lo sa, peraltro Israele considerate organizzazioni terroristiche tutte le formazioni palestinesi e nei mesi passati ha descritto ministeri e istituzioni civili a Gaza come «strutture del terrore». Il piano prevede anche la chiusura dell’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati palestinesi che Israele considera vicina ad Hamas, e l’istituzione di un nuovo organismo internazionale. Oltre ad Hamas, anche l’Autorità nazionale palestinese (Anp) ha respinto il piano di Netanyahu descrivendolo come una prosecuzione dell’occupazione. «Gaza farà parte solo di uno Stato palestinese indipendente con Gerusalemme come capitale. Qualsiasi piano diverso da questo è destinato al fallimento», ha commentato Nabil Abu Rudeinah, il portavoce della presidenza palestinese. Anche altre formazioni politiche palestinesi hanno condannato le intenzioni di Netanyahu. Lo scetticismo regna anche in Israele.

Prosegue nel frattempo la trattativa per il rilascio degli ostaggi a Gaza in cambio della scarcerazione di prigionieri politici palestinesi in Israele. Una delegazione di Hamas, guidata dal capo dell’ufficio politico Ismail Haniyeh, ieri ha lasciato il Cairo dopo tre giorni di colloqui sul cessate il fuoco. Nelle stesse ore una delegazione israeliana è partita per Parigi per discutere della pausa umanitaria. Due giorni fa, il vice di Haniyeh, Musa Abu Marzouk, in una intervista aveva previsto «una svolta» nelle trattative indirette con Israele. Hamas ha posto come condizione il rilascio di 500 prigionieri palestinesi per ogni ostaggio israeliano liberato, aggiungendo che l’occupazione di Israele dall’asse Salah al Din “Filadelfia” (che collega l’Egitto a Gaza) e della strada Al Rashid (a sud-ovest di Gaza City), è l’ostacolo principale ai negoziati. Israele replica che le richieste di Hamas sono irrealizzabili e che non rinuncerà mai al controllo di sicurezza della Striscia.

Ieri almeno 40 persone sono state uccise e oltre 100 sono rimaste ferite in un bombardamento di terreni con sfollati palestinesi a Durra, Deir al Balah e Zawayda. Numeri che fanno salire a 29.514 morti e 69.616 feriti il bilancio delle vittime dell’offensiva israeliana contro Gaza. In Cisgiordania, Netanyahu, il ministro della difesa Gallant ed il ministro delle finanze Smotrich hanno annunciato che presenteranno alla Commissione suprema per la progettazione, i piani di costruzione di oltre 3300 alloggi per coloni, dopo l’attentato di giovedì a Maaleh Adumin in cui un israeliano è stato ucciso. 2.350 alloggi sono destinati proprio a Maaleh Adumim, 694 a Efrat e 300 a Keidar. L’annuncio è stato criticato dal segretario di stato Usa, Blinken.

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