Bettini: «Per rimontare il Pd deve stare vicino a chi è in difficoltà»
Goffredo Bettini – Ansa
Politica

Bettini: «Per rimontare il Pd deve stare vicino a chi è in difficoltà»

Intervista Il dirigente dem: sbagliato trasmettere un senso di disperazione. Conte? Siamo noi la forza progressista più credibile. Ma dobbiamo tutti abbassare i toni, il dialogo riprenderà. Mai più un governo con la Lega o con Meloni
Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 10 settembre 2022

Goffredo Bettini, gli ultimi sondaggi disponibili mostrano un Pd in affanno. La polarizzazione “o noi o loro” non sembra funzionare, così come l’allarme democratico su un possibile governo delle destre.

Vedremo il risultato finale. Gli orientamenti politici cambiano con enorme rapidità. Ho fiducia. Il Pd, con Letta, si è consolidato. La campagna elettorale la stiamo svolgendo in una situazione difficile. Polarizzare tra noi e la Meloni è naturale ed è giusto: i collegi o li vinciamo noi o li vince la destra. Dobbiamo, tuttavia, evitare di trasmettere un senso di disperazione. La politica non finisce il 25 settembre. Qualsiasi scenario ci dovesse essere, il Pd rimarrà la grande forza democratica e di sinistra in grado di unire, di dialogare, di combattere. Finché ci saremo noi, la democrazia non rischia.

Dunque condivide e fa suo l’appello continuo di Letta al voto utile?

Sì. Perché senza di noi il paese salta.

E tuttavia, almeno ad oggi, la vostra campagna non decolla. Ritiene possibile e utile cambiare strategia nelle ultime due settimane. E come?

Non si tratta di cambiare strategia, piuttosto di definire ancora meglio la nostra piattaforma politica. Vede, l’aumento delle bollette e l’inflazione colpiscono soprattutto i ceti deboli. Le vittime di un modello capitalistico vorace, volatile, disinteressato agli effetti sociali del suo sviluppo. In questi giorni che mancano al voto è lì che dobbiamo battere. Letta, nelle alternative che pone tra il nero e il rosso, insiste sui temi del disagio. Orlando ogni giorno pubblica dei post molto efficaci sul lavoro, i salari, la riduzione della pressione fiscale per i ceti bassi, il sostegno a chi rimane disoccupato. È una scelta di campo che, mi permetta di dire, non si deve fermare ad elencare obiettivi, ma impone di vedere la realtà con gli “occhi” degli ultimi; con lo sguardo dal basso verso l’alto. La propaganda urlata, le facce sorridenti sui manifesti non ci servono più. Servono sobrietà, ragionamenti e concretezza.

Come era prevedibile, la competizione con Conte si sta facendo molto cruenta. Alcuni sondaggi danno il M5S come primo partito al sud, se vi foste alleati avreste potuto vincere moltissimi collegi. Proprio lei che è stato l’architetto dell’alleanza, non crede sia stato un grave errore questo divorzio?

Per me la rottura con Conte è stata molto dolorosa. Ho aiutato Letta in tutti i modi per evitarla. Conte ha deciso di rompere nel momento sbagliato. Ha fatto un errore, dando un colpo ad una prospettiva politica alla quale si era lavorato insieme; con risultati importanti. Detto questo, non serve a nessuno alzare i toni del conflitto: l’avversario è la destra. Semmai occorre richiamare tutti i partiti democratici a rispettare nei fatti questa priorità.

Conte sta cercando di posizionarsi sempre più a sinistra. Secondo Letta non è credibile come progressista. Lei che ne pensa?

La forza progressista più credibile è il Pd. Occorre dimostrarlo ogni giorno. Conte ha posto e pone spesso temi simili ai nostri. A partire dal reddito di cittadinanza, che va mantenuto e migliorato. Peccato che molte cose che si sarebbero potute già realizzare, con la caduta del governo Draghi sono andate in fumo.

Dopo il voto si dovranno rimettere insieme i cocci di un’alleanza con M5S? Anche con il cosiddetto terzo polo di Calenda?

Dopo il voto si farà ciò che il voto stesso suggerirà di fare. In ogni caso mai rifaremo un governo con Lega o Fratelli d’Italia. È finita la fase dell’emergenza, deve tornare la politica a governare i conflitti.

Insisto. Con Conte sarà possibile riaprire il dialogo?

Il dialogo va tenuto aperto con tutto il campo democratico.

Il Pd oscilla tra fedeltà all’eredità di Draghi e il tentativo di un riposizionamento a sinistra. Il programma e le parole di Letta sul fallimento del Jobs act di Renzi dicono questo. Eppure, il vostro resta il partito di chi ce la fa, dei ceti urbani, istruiti e benestanti. È stato fatto troppo poco per invertire questa tendenza che alcuni di voi, da tempo, hanno provato a cambiare?

Il fatto che siamo prevalentemente il partito dei ceti più protetti e urbani deriva da un lungo passato. Nel mio libro che uscirà a ottobre cercherò di indagarlo. A dire il vero, il Pd di Letta ha dato qualche segnale in controtendenza. Tra i giovani e nei quartieri popolari e di cintura delle grandi città. È possibile, dunque, invertire la tendenza. E io chiedo con tutta la passione possibile il voto al Pd, anche per questo.

Dopo alcuni anni dalla fine del renzismo resta una domanda: il Pd è per sua natura il “partito degli inclusi” o può ancora cambiare la sua ragione sociale? Non sarà che gran parte del suo gruppo dirigente non è più in grado di parlare ai più deboli, per ragioni quasi antropologiche?

Le cosiddette ragioni antropologiche si combattono in un solo modo: mettendo al centro della nostra stessa natura il lavoro e i lavoratori. Così svalutati in questi ultimi anni. E non solo per quanto riguarda i salari, ma nel senso comune del nostro Paese; che ha inseguito altri valori.

Già si inizia a parlare del destino del Pd dopo una eventuale sconfitta. Orlando ha detto che non basterebbe cambiare un segretario, che servirebbe una riflessione più in profondità. Appare abbastanza chiaro che il Pd era nato in una fase storica ormai lontana, che non pare attrezzato per affrontare una società così impoverita, impaurita, rabbiosa.

Concordo con Orlando. Noi siamo in grado di sostenere qualsiasi scenario. Letta ha fatto e sta facendo il massimo. Mi fanno venire l’orticaria quelli che, dopo averlo osannato, sulla base di qualche sondaggio ora sparlano del segretario.

In caso di vittoria delle destre, lei vede un rischio, se non per la democrazia, per la tenuta della Costituzione?

I rischi ci sono sempre. D’altra parte, nel corso del tempo la Costituzione è stata già più volte maltrattata. Ma, al di là di modifiche concrete che non avranno in alcun caso la forza e i numeri per imporre, il problema riguarda un clima politico, culturale, etico che sicuramente investirà il Paese se dovessero vincere. La crisi democratica si può risolvere in due modi: con più democrazia (efficiente) o con una stretta illiberale. Loro pensano ad un’Italia per tanti aspetti asfissiante.

Come si spiega il successo di una leader come Meloni che è su piazza da 25 anni e che non ha mai dato brillanti prove di sé?

Ogni tanto si affermano leader che poi rapidamente passano. Giorgia Meloni è riuscita a intercettare un elettorato tradizionalmente conservatore e reazionario ma anche, toccando temi sensibili, settori delusi dalla sinistra. Non basta l’appello antifascista, dobbiamo immergerci dentro alcune contraddizioni. E rovesciargliele contro. Vede, la globalizzazione è stata spaesante. In risposta, la destra agita il sovranismo, il nazionalismo, la xenofobia. Un vicolo cieco. Ma il tema del radicamento dobbiamo riproporlo noi nel modo giusto. L’attaccamento alla propria terra; che dà misura, il senso della tua finitezza, disciplina la tua vanità. La terra è ciò che hai costruito. Il tuo “fare”. Il tuo lavorare. Serve una sinistra “terragna”. E i sindaci ne debbono essere protagonisti.

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