«Maestro» Bernstein, doppia vita a tinte soap
Venezia 80 Presentato in concorso il biopic sul grande compositore e seconda regia per Bradley Cooper. Una narrazione basata sul privato. Di arte, musica e politica rimane poco
Venezia 80 Presentato in concorso il biopic sul grande compositore e seconda regia per Bradley Cooper. Una narrazione basata sul privato. Di arte, musica e politica rimane poco
Leonard Bernstein Bradley Cooper ha imparato a amarlo quando era ancora bambino: «A casa ascoltavamo di continuo le sue incisioni» dichiara sul catalogo del festival. Maestro – con cui l’attore e regista americano dopo il sucesso di A Star Is Born torna sul Lido stavolta in concorso – seppure virtualmente visto che né lui né Carey Mulligan, la co-protagonista hanno accompagnato la proiezione per gli scioperi hollywoodiani – ha origine dunque in quelle scoperte infantili. E nelle fantasie di essere un giorno lui stesso a dirigere un’orchestra, due spunti che lo hanno convinto a incarnare il «Maestro» in questa sua seconda regia che pur rimanendo nell’universo musicale è molto diversa dalla precedente variazione su un classico, È nata una stella, costruita sull’iconica presenza di Lady Gaga.
QUI SIAMO nel mondo di Leonard Bernstein, figura monumentale nella musica del Novecento, che ha iniziato giovanissimo, e subito con scelte poco convenzionali, che ha rivoluzionato con il suo modo «fisico» di stare sul podio, quasi come una danza in cui coinvolgeva orchestra e pubblico i canoni della direzione orchestrale. Interprete viscerale, compositore, pianista, autore di opere innovative anche quando di ispirazione classica e di musical a Broadway – il suo West Side Story rimane un riferimento fondante per il genere. Docente, divulgatore, autore di trasmissioni televisive per CBS sulla musica, direttore tra gli altri della New York Philharmonic a New York e presidente e direttore onorario di Santa Cecilia, Bernstein – morto nel 1990 a settantadue anni – è stato tante cose insieme, e per questo una figura unica.Come lo si sente dire ancora ragazzo nel film (dal 20 dicembre su Netflix, la sceneggiatura è dello stesso Cooper e di Josh Singer) mentre parla a colei che sposerà: «Io e te siamo siamo tanti pezzi messi insieme e questo sforzo è la persona che abbiamo davanti» .
L’ebraismo, i dissidi con la famiglia, il matrimonio e la sua bisessualità
TRA QUESTI pezzi per Bernstein c’è l’ebraismo, ci sono i dissidi con la famiglia – il padre avrebbe voluto che si occupasse dell’azienda famigliare. E c’è la sua bisessualità che lo divide tra l’amore di una relazione profonda con la donna che sarà sua moglie, Felicia Montealegre (Carey Mulligan), e quello per i ragazzi che saranno tantissimi. Lei di origini cilene, attrice di Broadway e televisiva, saprà sempre tutto sin dall’inizio in un «accordo» di libertà e di rispetto che Bernstein però nel tempo sembra rompere. Niente di più facile, è geniale ma è anche narcisista, egocentrico, con una costante richiesta di attenzione e l’incapacità di arrestare il suo movimento. Finché però Felicia si stanca, i figli cominciano a sapere – «sono solo chiacchiere degli invidiosi» nega il padre su richiesta della moglie. I due si separano forse per la relazione divenuta ingombrante col ragazzo che Bernstein chiama «il mio folletto» – il clarinettista David Oppenheim. Lui va a vivere a casa di un amore passato, il musicista Tom Cotrham, decide di non nascondersi più – un passaggio importante risolto dalla regia facendogli indossare una maglietta «alla bretonne» – e con feste a base di coca e una barba disordinata.
È PROPRIO questo il punto e il limite di una narrazione basata sul privato scisso tra l’equilibrio matrimoniale e l’inarrestabilità sessuale di Bernstein che lascia fuori quasi tutti il resto. È davvero così fondamentale nella lettura dell’artista? Forse ma come parte di una vita complessa, di quei «pezzetti» che qui sembrano piuttosto un monolite.. Felicia a un certo punto mette fuori dalla porta il suo cuscino e le pantofole, poi gli grida: «Morirai come una checca vecchia e sola». Lui torna quando lei si ammala e l’accompagna fino alla fine, in fondo si sono sempre amati. Di musica, di arte, di politica però – e anche delle complessità esistenziali rimane poco.
LA «SCENA MADRE» (musicale) è la direzione di Mass (1971) la Messa, suonata per intero – ci sono agli inizi del suo incontro con Felicia i ritmi del musical coi marinaretti (On the Town) – a sembra quasi una specie di inciso un po’ una casualità. E anche quando spiega a un giovane direttore d’orchestra come procedere poco accade se non che faranno sesso – a proposito il ragazzo è african american, è questo il modo di Cooper per dirci del sostegno alle battaglie per i diritti civili in America di Bernstein e di Felicia Montealegre? Cooper fa della vita di Bernstein una specie di soap – affermando la sua «veridicità» con una lunga sequenza finale in cui si vede il «vero» Bernstein bianco vestito sul podio – chiusa fra gli stereotipi del «genio» e di una forma cinematografica pomposa lasciando scivolare via la propria materia senza guizzi nemmeno tra le sue «scene da un matrimonio». Peccato.
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