Berlusconi resta con i fedelissimi, Meloni ravviva la fiamma
Politica

Berlusconi resta con i fedelissimi, Meloni ravviva la fiamma

Salvini garantisce un seggio blindato a Giorgetti. Ai leghisti a lui vicini invece no
Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 23 agosto 2022

Liste completate, ferite aperte. In piena vista quelle dei forzisti, molto meno visibili nella Lega, inesistenti in casa Meloni. Nel partito azzurro è uno sterminio: fuori Andrea Ruggieri, neppure inserito nelle liste, fuori Renata Polverini che rifiuta la candidatura a perdere, fuori Giro, che l’ha presa da signore, fuori Moles, che ha sbraitato, dentro ma quasi per modo di dire Deborah Bergamini, più di là che di qua Giacomoni, pericolante persino Sisto. In extremis è piovuta dal cielo Rita Dalla Chiesa, capolista a Molfetta-Bari, accolta con il solito disappunto dai locali. Rientrata nell’uninominale Gabriella Giammanco, capilista Prestigiacomo e Mulè.

Re Silvio stavolta ha penalizzato anche la vecchia guardia, salvando solo il cerchio più ristretto e fedele: Tajani, Barelli, Micciché, Ronzulli, la capogruppo Bernini, ovviamente Marta Fascina. Sarebbe un errore pensare che il terremoto azzurro derivi solo dalla scarsità di posti. È che nella crisi di una Fi che non riesce più a mettere a fuoco il proprio ruolo resta, come sempre e più di sempre, solo Berlusconi, presente all’uninominale a Monza e in diversi collegi plurinominali, mattatore solitario nella campagna elettorale. Certo, Fi è stata sempre il partito di Berlusconi, proprietà privata. Ma negli anni del trionfo pullulava di tutto. Nel vortice di una crisi non solo di consensi ma soprattutto di indirizzo politico, resta solo il Cavaliere ed è ovvio che, fatti salvi alcuni potentati locali come quello di Micciché in Sicilia, si tenga vicino solo alter ego e fedelissimi.

Quel bacino forzista a rischio di disseccamento preoccupa la nuova leader della destra ma costituisce anche un’occasione. Meloni ha fatto il pieno di vecchia aristocrazia azzurra per offrire una sorta di sponda centrista interna agli elettori orfani dei fasti di Arcore, ma anche perché deve adeguare la sua rappresentanza a esigenze molto diverse da quelle di 4 anni fa, quando guidava un partito del 4%. I consensi si sono moltiplicati. La rappresentanza è ancora adeguata a quel modello di partito radicale. Per rassicurare i poteri economici e sovranazionali, dentro e fuori i confini patrii ,ci vuole altro. Più precisamente ci vuole anche altro, perché Giorgia Meloni sta battendo oggi una strada evitata da tutti i numerosissimi partiti che negli ultimi decenni hanno cambiato pelle, identità e spesso anche nome. La decisione di mantenere la Fiamma con fragoroso orgoglio e di confermare tutti i gruppi parlamentari uscenti (ai quali si aggiungerà il ritorno di nomi come Augello, Menia e Tremaglia, nipote di Mirko) rivelano una scelta sia politica che identitaria: quella di tenere insieme innovazione e conservazione senza alcun distinguo del passato. La leader di FdI vuole che il suo partito sia quello di Almirante, solo adeguato ai tempi e in grado oggi di imporsi come non era possibile ai tempi dello storico leader del Msi. Se la scommessa azzardata avrà successo o no lo si scoprirà non il 25 settembre ma nei mesi successivi, quando la leader della destra si troverà probabilmente alle prese con la sfida sin qui evitata del governo.

Anche Salvini punta sulla continuità: nel personale politico ma anche nell’offerta strategica che guarda ancora a quell’impasto di politiche securitarie e repressive ma dall’altro anche sociali, almeno sul piano della propaganda, che è stato il tratto distintivo del populismo nel decennio scorso. In un’impostazione simile per i fan di Draghi, che rappresentano anche il dissenso interno, un po’ di posto c’è ma poco. Il seggio blindatissimo di Giorgetti è garantito. Per i leghisti a lui vicini no. Un generale dissidente può passare: purché sia senza truppe.

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