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Beirut a mano armata

Beirut a mano armataManifestazione in solidarietà con Bassam al-Sheikh Hussein davanti al Palazzo di Giustizia di Beirut – Epa/Wael Hamzeh

Libano Bassam al-Sheikh Hussein entra in banca con un fucile a pompa per ritirare 400 dollari dal suo conto congelato. In un paese dove a dettare legge è la finanza malata, diventa un eroe

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 25 agosto 2022

Bassam al-Sheikh Hussein è l’emblema delle contraddizioni di una società ormai lacera. Giovedì 11 agosto, con un fucile e una tanica di benzina, aveva minacciato di darsi fuoco in una sede della Federal Bank a Hamra, centralissimo quartiere di Beirut, dopo aver preso in ostaggio alcuni impiegati e clienti.

Secondo la ricostruzione fornita la settimana scorsa nella conferenza stampa organizzata dai comitati «Il grido dei correntisti» e «Muttahidun (Uniti)», il 42enne si era presentato in banca per ritirare l’equivalente in lire libanesi (al tasso di cambio di 12mila lire per dollaro) dei 400 dollari che, in base alla circolare 158 della Banca del Libano, spettano mensilmente ai correntisti. Di questi una metà può essere presa in contanti e l’altra utilizzata via assegno o carta.

LA BANCA gli ha rifiutato il prelievo, soldi che gli sarebbero serviti per spese mediche. Allora al-Sheikh Hussein è tornato in macchina dove ha preso fucile e tanica ed è rientrato. Dopo ore di trattative e la promessa di portarsi a casa 35mila dei suoi 210mila dollari congelati, le forze speciali dell’esercito erano riuscite a prelevarlo e portarlo via.

Eroe per un giorno, acclamato dalla folla, è divenuto in Libano il simbolo di una frustrazione crescente iniziata nel 2019, quando i conti bancari sono stati in pratica ibernati. «Se non dovessi ottenere tutti i miei diritti, tornerò in banca e mi farò giustizia con le mie mani», ha detto durante la conferenza stampa.

La banca ha subito fatto cadere la denuncia contro al-Sheikh Hussein che è ora un uomo libero ed è scomparso dalle cronache. Il segnale è ambiguo: se da un lato si è preferito non farne un martire, dall’altro si legittima una dannosa idea di giustizia fai-da-te. Non è da escludere l’ipotesi di intercessioni eccellenti, in un paese in cui la wasta, l’aggancio, è il perno centrale delle relazioni sociali.

Il Libano è da tre anni in balia della crisi economico-finanziaria più devastante della sua storia. Lo schema Ponzi di cui l’intoccabile Riad Salameh, uomo di Rafiq Hariri che per decreto lo appuntò governatore della Banca del Libano nel 1993 – è in carica nonostante i processi nazionali e internazionali a carico suo e del fratello Raja per riciclaggio di denaro attraverso società off-shore – è in pratica saltato.

Le banche, senza coperture, nel 2019 hanno razionato drasticamente i prelievi, mentre di ora in ora la lira si svalutava. Lira che, agganciata al dollaro (moneta ufficiale) a un tasso formale di 1507.5 lire, è oggi scambiata sul mercato locale a 33/34mila per un dollaro.

LA COMMISSIONE parlamentare di Budget e Finanza si è già riunita due volte per discutere un aggiustamento del tasso di cambio a 20mila per la tassazione sull’import/export, ma per ora solo fumate nere. Nonostante il mercato interno sia regolato da una piattaforma chiamata Sayrafa che riporta le variazioni giornaliere del tasso, le imposte su import/export – ma anche l’ Iva e molti stipendi pubblici – vengono ancora calcolate a 1507.5 lire.

L’operazione porterebbe qualche spicciolo nelle casse dello Stato, ma potrebbe far aumentare i prezzi se gestita male. Verrebbero inoltre intaccati gli interessi delle poche potenti famiglie che si occupano di importazioni ed esportazioni, un’oligarchia che gestisce, assieme al mercato, in maniera più o meno diretta una quota considerevole degli equilibri politici libanesi.

«Questa è una crisi doppia: una crisi finanziaria e una crisi monetaria. I fattori scatenanti sono stati tre – spiega al manifesto la dottoressa Rihab Sawaya, economista, docente e capo del dipartimento di economia alla facoltà di business dell’Università Antonina in Libano alla domanda sulle cause, le responsabilità, l’inevitabilità e le soluzioni di questa crisi – Il primo è la politica monetaria adottata negli anni Novanta, inadeguata perché incapace di mantenere l’afflusso di capitale in maniera sostenibile. Questa politica era basata sulle rimesse dei libanesi all’estero, che si sono però rivelate volatili e sono diminuite nel tempo, specialmente nel 2011 quando tutti gli economisti, inascoltati, avevano preannunciato questa crisi. Per la prima volta, infatti, nel paese la bilancia dei pagamenti era stata calcolata in deficit. Se allora Banca centrale e governo fossero intervenuti, anche se la crisi di oggi sarebbe stata inevitabile, avrebbe certamente avuto un impatto minore sul Libano. Il problema era comunque a monte: se il governo avesse investito dopo la guerra civile (1975-90) in agricoltura e industria si sarebbe favorita, oltre alla produzione interna, anche l’esportazione e ciò avrebbe stabilizzato economia e moneta. Il modello economico libanese ha invece dato priorità al settore finanziario e questi sono i risultati».

Al-Sheikh Hussein barricato in banca. Foto @Ap

«IL SECONDO FATTORE – continua Sawaya – è la cattiva gestione delle finanze pubbliche, settore in cui c’è un enorme spreco di risorse, corruzione endemica, mancanza di trasparenza, tutti elementi che hanno portato a un livello insostenibile di debito pubblico. Terzo, il settore finanziario e bancario: la Banca centrale ha finanziato il governo e il debito pubblico oltre misura, in maniera non sostenibile, rendendosi quindi responsabile del crack bancario. La soluzione ora è certamente politica. I diversi partiti devono mettersi d’accordo sulle misure da prendere per implementare le riforme, mentre i continui ritardi e rimandi palesano l’inefficienza dovuta alla frammentazione del quadro politico che ha conseguenze devastanti sull’economia».

Sawaya spiega che i più colpiti sono i lavoratori dei settori pubblici e tutti quelli stipendiati in lire, mentre chi viene pagato in dollari e chi specula sulle fluttuazioni lira/dollaro è fortemente avvantaggiato. Sulla proposta di alzare il tasso di cambio del dollaro a 20mila lire per import/export è convinta che la misura sia sì necessaria, ma rimanga incompleta senza un tasso unico.

Oggi esistono un tasso ufficiale, un tasso bancario, il tasso Sayrafa e altri ancora che favoriscono solo la speculazione. Una riforma contemplata anche nel piano del Fondo monetario internazionale, utile a sbloccare i fondi stanziati per il risanamento dell’economia, al momento unica soluzione possibile. «Si tratta, ancora, di una visione politica che al momento non esiste e che dovrebbe essere olistica, proiettata al medio e lungo periodo», conclude Sawaya.

LA CRISI NON RISPARMIA nessun campo ed è un continuo di emergenze e tragedie. Chi può scappa. Due giorni fa sono cominciate le ricerche dei migranti diretti in Italia tre mesi fa e annegati a largo delle coste di Tripoli, una delle tante fughe che ormai il Libano ha imparato a conoscere.

Intanto l’ennesimo stallo politico per l’elezione del presidente della repubblica potrebbe far slittare decisioni urgentissime, ben oltre la scadenza del mandato di Michel Aoun, il prossimo 31 ottobre. E a Beirut continuano a sgretolarsi i silos al porto senza che chi di dovere faccia qualcosa, testimoni silenziosi dell’immane sciagura del 4 agosto 2020, triste e cinica metafora di un Libano lasciato implodere sotto il peso di se stesso.

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