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Libano, civili terrorizzati e sfollati più volte. Ma c’è anche chi sceglie di rimanere

Famiglie sfollate a Beirut, in piazza dei Martiri, sabato 28 settembre foto Bilal Hussein/ApFamiglie sfollate a Beirut, in piazza dei Martiri, sabato 28 settembre – foto Bilal Hussein/Ap

Come a Gaza Nessuno si sente al sicuro. 118mila le persone messe in fuga dal sud e dall’est del Paese tra lunedì 23 a venerdì 27 (dati UNRWA). Decine di migliaia di profughi siriani e palestinesi stanno passando la frontiera con la Siria

Pubblicato 10 minuti faEdizione del 29 settembre 2024

Hassan torna tutti gli anni a trovare i genitori, ormai 85enni. È il presidente della sezione italiana dell’Unione libanese culturale mondiale (WLCU), un’associazione internazionale che unisce i libanesi della diaspora. Quando Babliyeh è stata colpita, insieme agli altri fratelli ha deciso di portar via gli anziani genitori e un cognato. È riuscito a raggiungere la loro casa, tra le raffiche dei bombardamenti. Ci hanno messo 6 ore per arrivare a Beirut.

FINO A LUNEDÌ 23 SETTEMBRE erano già 110mila le persone sfollate in Libano in poco meno di 12 mesi. In soli cinque giorni il numero è raddoppiato secondo l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr): 118mila persone in fuga dal sud e dall’area orientale del Paese dall’inizio della settimana fino a venerdì 27. I dati UNRWA dicono che il 73% proviene dalle zone meridionali del Libano, il 27% da Beirut e dai distretti centrali e orientali.

Decine di migliaia di profughi siriani e palestinesi stanno passando la frontiera per raggiungere la Siria. In molti sono fuggiti senza portar via nulla, proprio come Abbas e Leila: «Neanche i documenti hanno preso – dice Hassan -. L’unica esigenza era salvargli la vita, al resto avremmo pensato dopo». Le lunghe code hanno reso il viaggio difficile, scomodo e molto lungo. Le linee telefoniche erano intasate e per tutto il tempo i figli non hanno ricevuto notizie. «Non sapevamo dove fossero e siamo rimasti per ore in attesa in una silenziosa videochiamata collettiva. Qualcuno piangeva, qualcun altro era speranzoso».

Martedì sono arrivati a Beirut a casa di una figlia. Ma poi, nel tardo pomeriggio di venerdì 27, c’è stato l’attacco senza precedenti a Dahiyeh, nel quartiere di Haret Hreik a sud di Beirut, che ha causato la morte di diverse persone, tra cui il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah. Anche se le bombe sono state sganciate nella periferia meridionale della città, le esplosioni si sono avvertite come un terremoto che ha scosso tutta la capitale. È stato il panico. Nessuno si è sentito più al sicuro.

FINO ALL’ALBA DI SABATO gli attacchi si sono susseguiti senza sosta. Migliaia di residenti sono fuggiti e a centinaia hanno passato la notte sul lungomare di Beirut. Quando sono arrivati gli ordini israeliani di evacuazione, molti degli sfollati che dal sud avevano raggiunto la capitale hanno deciso di muoversi di nuovo: «Mio padre a quel punto voleva ritornare – ci racconta commosso Hassan -, mi ha detto che avrebbe voluto morire a casa sua, nel luogo dove insieme a sua moglie ha costruito un centro culturale per la diffusione della poesia».

LEILA È UNA SCRITTRICE, ha pubblicato quattro libri e ottenuto numerosi premi. Nella mattinata di ieri i due coniugi 85enni hanno preso un taxi per spostarsi più a nord, nella zona di Tripoli. È un viaggio che in molti in queste ore stanno intraprendendo. Non esistono ancora numeri certi di questo esodo nell’esodo ma sono in tanti a pensare che le bombe possano arrivare presto a distruggere il centro di Beirut.
Nonostante ciò, c’è chi sceglie di rimanere: «C’è chi ha paura di morire e chi invece no» spiega Hassan. «Il concetto stesso della vita cambia in base a questo. Tante persone che ora fuggono lo fanno per mettere in salvo i propri cari, con la certezza che presto torneranno. Mia sorella, ad esempio, ha deciso di rimanere nella capitale. Anche lei è fuggita dal sud, insieme a sua figlia, ma non vuole spostarsi ancora. Abbiamo visto per mesi ciò che succede a Gaza, persone costrette a scappare da un luogo all’altro, senza sosta. C’è chi preferisce attendere. Anche la morte se necessario».

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