La proroga delle concessioni balneari di un ulteriore anno, ma potenzialmente molto di più come si è accorto il presidente Mattarella richiamando per questo parlamento ed esecutivo, può diventare un incubo per il governo Meloni. Dopo le critiche del Quirinale che, nel promulgare ugualmente il provvedimento che contiene la proroga, quindici giorni fa aveva previsto un caos amministrativo e legale perché il diritto europeo tassativamente vieta ulteriori slittamenti, ecco arrivare la censura del Consiglio di Stato. La sentenza pubblicata il 1 marzo (quindi solo cinque giorni dopo l’avvertimento di Mattarella) non si riferisce ovviamente a una legge appena pubblicata in Gazzetta ufficiale, ma eccezionalmente contiene un richiamo anche all’ultimissima norma imposta dalla maggioranza di destra. Un richiamo pesantissimo: «Anche la nuova norma» contenuta nella legge di conversione del cosiddetto decreto Milleproroghe, scrive il Consiglio di Stato, «va disapplicata da qualunque organo dello Stato».

I giuristi li chiamano obiter dictum, cose dette occasionalmente, cioè fuori dal campo stretto della decisione sulla causa. Il massimo organo della giustizia amministrativa stavolta si doveva pronunciare su una decisione del comune di Manduria, in provincia di Taranto, e ha bocciato la proroga delle concessioni balneari che in quel caso era addirittura fino al 2033. Ma ha aggiunto che questa bocciatura deve intendersi estesa anche all’ultima zampata della destra al governo in difesa degli interessi dei balneari. Per il Consiglio di Stato non è proprio una novità, perché per tentare di chiudere la storia delle proroghe automatiche alle concessioni balneari che va avanti da oltre quindici anni – la direttiva europea che le vieta, la Bolkestein, è del 2006 – a novembre 2021 aveva tenuto un’adunanza plenaria per stabilire tre cose. Che la normativa europea in materia è direttamente applicabile in Italia, che le spiagge sono risorse scarse e pertanto la loro concessione va messa a gara e che il divieto di proroga dev’essere applicato non solo dagli organi giurisdizionali (i tribunali) ma da ogni amministrazione dello stato. Il perché lo lasciamo spiegare all’avvocato amministrativista Gianluigi Pellegrino: «Era l’unico modo per contrastare l’ignavia del legislatore italiano, che per garantire la categoria fa le leggi contando sulla lentezza dei tempi della giustizia, ben sapendo che una norma in contrasto con il diritto europeo non può restare in piedi».

Dunque il Consiglio di Stato aveva già parlato anche per il futuro. E ieri in maniera clamorosa ha immediatamente dato l’indicazione di non applicare l’ultima proroga. Del resto, in un gioco di rimandi, anche Mattarella nella sua lettera di censura aveva richiamato la sentenza dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato. Oltre alla imminente decisione sul tema della Corte di giustizia europea, che difficilmente si discosterà da quanto già deciso in passato contro le proroghe.

È un bel problema per il governo Meloni, che già aveva dovuto assicurare che avrebbe preso molto sul serio i rilievi di Mattarella e il suo invito a correggere lo sbaglio, anche per evitare una più che probabile sanzione europea. Meloni aveva provato a scaricare la responsabilità sul parlamento e in particolare sui partiti alleati, ma Fratelli d’Italia non è stata in seconda fila nel sostenere i balneari per assicurarsi i loro voti. L’unica cautela, dovuta al ruolo della presidente del Consiglio, sta nell’evitare l’affondo diretto: nessun esponente del partito di Meloni ieri ha seguito Lega e Forza Italia negli attacchi al Consiglio di Stato. Scatenati. «Rivendichiamo la norma e il diritto del parlamento a legiferare», ha detto il leghista Centinaio. «Il Consiglio di Stato persevera nell’errore, giù le mani dai balneari», ha scritto Gasparri. Ma contro le sentenze le sparate via twitter servono a poco.