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Balneari, la Ue dà l’ok all’ennesima proroga

Balneari, la Ue dà l’ok all’ennesima proroga

La legge Via libera al decreto: gare entro il 30 giugno 2027. Il governo scarica sugli enti locali la responsabilità di applicare l’ulteriore rinvio

Pubblicato circa un mese faEdizione del 5 settembre 2024

Proroga fino al 2027, canoni aumentati del 110% e gare al rialzo economico. Sono i punti salienti del ddl sulle concessioni balneari, licenziato ieri in extremis dal consiglio dei ministri dopo momenti di tensione con il ministro e prossimo commissario Ue Raffaele Fitto, determinato a chiudere la questione, e un vertice ristretto tra la premier Meloni e i vice Salvini e Tajani che ha sbloccato lo stallo. Le quattro pagine, esaminate dal manifesto, intervengono con una serie di modifiche alla legge Concorrenza del governo Draghi, che aveva stabilito la scadenza del 31 dicembre 2023 e introdotto per la prima volta le gare sui titoli storici, dopo decenni di rinnovi automatici. Negli ultimi tre anni il Consiglio di Stato e la Corte di giustizia Ue hanno bocciato le proroghe dei precedenti governi (l’ultima, del primo governo Conte, arrivava fino al 2033) e proibito qualsiasi ulteriore rinnovo automatico; inoltre l’Italia è sotto procedura d’infrazione per la mancata attuazione della direttiva Bolkestein, che impone i bandi periodici sui beni pubblici. Nonostante questo scenario inevitabile, Meloni aveva promesso ai balneari che li avrebbe salvati dalle gare, ma tutti i suoi tentativi sono stati respinti da Bruxelles. Ne è uscito così un ddl che, oltre a dimostrare l’inaffidabilità delle promesse della premier, contiene una proroga con evidenti profili di illegittimità e favorisce i grandi capitali ad accaparrarsi gli stabilimenti balneari. Nonostante ciò, subito dopo l’approvazione del testo è arrivato il beneplacito della commissione Ue, che ha rimarcato gli «scambi costruttivi» che hanno portato a «una soluzione globale, aperta e non discriminatoria».

Il testo estende la validità delle concessioni fino al 30 settembre 2027 e impone di riassegnarle tramite gare pubbliche entro il 30 giugno 2027, con bonus fino al 31 marzo 2028 in caso di «pendenza di un contenzioso o difficoltà oggettive legate all’espletamento della procedura stessa». Per camuffare la sua natura di proroga automatica e generalizzata, il governo ha deciso di scaricare sugli enti locali la responsabilità di applicarla oppure di avviare subito le procedure selettive. Resta da vedere quanti sindaci e funzionari ne usufruiranno, prendendosi il rischio di denunce dall’Agcm, che ha già portato in tribunale tutti i comuni che non hanno ancora avviato le gare. Inoltre la norma dovrà passare al vaglio del Quirinale, che già a febbraio 2023 aveva espresso perplessità sul rinvio di un anno disposto dal primo Milleproroghe del governo Meloni.

Sugli indennizzi ai gestori uscenti, che saranno a carico dei nuovi concessionari, il ddl afferma che andranno calcolati solo gli investimenti non ammortizzati degli ultimi 5 anni. Anche in questo caso sono state affossate le tesi dei balneari, che chiedevano di ottenere l’intero valore aziendale. Tuttavia il provvedimento apre alla possibilità, per gli enti locali, di favorire i partecipanti che presenteranno le maggiori offerte al rialzo sugli indennizzi. Che significa assegnare le spiagge a chi ha più disponibilità economiche, anziché basarsi solo sulla qualità dei servizi e sulla gestione ambientale. Ai punti seguenti il ddl impone di tenere anche conto dei progetti virtuosi in termini di accessibilità, assunzione di giovani lavoratori, rispetto delle tradizioni locali e politiche sociali e ambientali; tuttavia il rialzo economico rappresenta un assist ai grandi capitali, e dunque a una fruizione dei litorali italiani ancora più omologata, costosa e privatizzata.

Per quanto riguarda i nuovi titoli, questi potranno durare da 5 ai 20 anni. Il testo dispone anche l’aumento del 110% dei canoni demaniali, da sempre considerati molto bassi rispetto alla redditività delle concessioni. È invece scomparso l’obbligo, contenuto nelle bozze precedenti, di assegnare almeno il 15% di spiagge libere per aprire nuovi stabilimenti. Al contrario, afferma il testo, gli enti locali avranno la facoltà di «ordinare al concessionario uscente la demolizione, a spese del medesimo, delle opere non amovibili autorizzate». Una misura che apre alla possibilità di rinaturalizzare la spiaggia, a patto che sia questo l’obiettivo dei sindaci. La gestione dei litorali italiani sarà dunque tutta in mano agli enti locali, e c’è da scommettere che questa cambierà a seconda dell’orientamento politico delle giunte.

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