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Ayat Najafi, raggi di sol dell’avvenire

Ayat Najafi, raggi di sol dell’avvenire

Venezia 80 «The Sun Will Rise» del regista iraniano apre, fuori concorso, Le Giornate degli Autori

Pubblicato circa un anno faEdizione del 2 settembre 2023

Era tanto tempo fa, il V secolo a.c., quando Aristofane scrisse di quella che fu forse la prima rivolta femminile contro il patriarcato e insieme dell’uso che di questo potere veniva fatto per impedire la pace nel Peloponneso. Ma la vicenda narrata in Lisistrata non potrebbe suonare più attuale nel momento in cui il richiamo a impegnarsi in un negoziato per porre fine alla guerra in Ucraina è così urgente, così come mai altrettanto attuale potrebbe essere la denuncia dello strapotere maschile nel momento in cui così sanguinosa è diventata la repressione delle donne iraniane. Non solo: nel momento stesso in cui rivelano la loro forza, sfidando ogni rischio e scendendo in strada gridando «non ho più paura», proprio come accadde con le donne ateniesi che occuparono in segno di protesta l’Acropoli.

Forza rivoluzionaria
Una forza inedita che sta innescando una mobilitazione femminista mondiale che cresce ogni giorno per impadronirsi del potere che alle donne è stato sempre negato, la più avanzata rivoluzione del nostro tempo. Ebbene, il film Il sole sorgerà, del regista iraniano Ayat Najafi, che da tempo vive a Berlino, prodotto da Angelo Laudisia (produttore anche di Nostalgia di Mario Martone), italiano ma residente in Francia, sicché la pellicola risulta francese, scelto fuori concorso per aprire Le Giornate degli Autori nel programma veneziano di quest’anno, è riuscito a farci il dono di una riflessione proprio su questo intreccio di eventi. Un film straordinario, che aggiunge ai temi indicati, anche una riflessione sull’arte, e il suo rapporto con il reale.

Lo ha fatto così: da nove anni oramai non aveva più esercitato il suo lavoro nel teatro e nel cinema del proprio paese quando decide di recarsi a Teheran per fare lì un film ed aprire un laboratorio teatrale. Ma quando arriva la rivoluzione innescata dall’uccisione di Masha Aymini è in pieno sviluppo. È il settembre del 2022, e Ayat decide di mettere da parte il suo originario programma. Ricorro a quanto ne ha scritto con grande intuizione il critico cinematografico olandese, Marc van der Khashurst, critico del giornale on line della International Cinephil Society, perché non credo se ne possa scrivere meglio, e perché il suo merito sta anche nell’esser stato il solo ad aver richiamato – speriamo- l’attenzione della stampa come qualche volta accade nei grandi Festival Internazionali.

L’arte – scrive – può essere un atto di sfida, se fatta nel modo giusto. Ayat Najafi l’ha fatto nel modo giusto. Il sole sorgerà – questo il titolo del film – sfida tutte le regole della censura iraniana sul modo in cui può essere rappresentato il corpo di una donna, e allo stesso tempo si interroga se l’arte possa essere atto di sfida adeguato o se invece non possa esserlo chi non è soggetto della sfida, se cioè si tratta di un «estraneo». The Sun Will Rise mantiene la premessa del titolo alla lettera, ma resta da vedere se la speranza che anima la rivoluzione sarò o meno esaudita. Tuttavia, la sfida rimane, come dimostra la potente ultima inquadratura del film.

C’è alternativa
Il suo significato: il mondo si può cambiare, non lasciatevi paralizzare da quella che oggi giorno viene chiamata TINA (there is no alternative), il nemico più pericoloso. Il film si apre con Teheran, ottobre 2022, una sala di prova dove un gruppo teatrale sta mettendo in scena Lisistrata. Fuori infuria la protesta per la morte di Mahsa Amini. Quando la polizia anti-sommossa si presenta per sedare la rivolta, il gruppo teatrale rimane chiuso nella sua sala prove. Ma si accende la discussione e si spacca: alcuni vogliono uscire e unirsi alle proteste, altri sostengono che dovrebbero rimanere dentro e continuare a provare. Si discute sul senso di cosa sia quello che stanno facendo, una commedia: deve rimanere tale o deve essere adattata con un tono più serio, visto quello che sta succedendo?

Mentre sotto le loro finestre, per strada, regna il caos, il gruppo non può più provare come previsto ed esce per recitare scene all’esterno, senza filtri e senza limiti. La sala prove si intreccia con quanto viene fatto e detto fuori. La macchina da presa di Najafi si muove tra gli attori, origlia le loro discussioni, registra i loro corpi. In particolare quelli femminili, aperti e liberi in un modo che è raro nel cinema iraniano. Per necessità, questo significa che le loro teste non vengono mai mostrate, per garantire l’anonimato ed evitare ritorsioni. L’occhio della macchina da presa mira al basso, guarda i piedi e le gambe, che però acquistano sensualità, sono corpo, quello che per legge deve essere nascosto ma invece via via prende la scena . A un certo punto i jeans stretti scompaiono, i piedi con i tacchi alti penzolano nell’aria e un paio di minuscole mutandine di pizzo è attaccato al filo tra di loro. È un’immagine apertamente sessuale, un’espressione di libertà sul proprio corpo e sul proprio comportamento sessuale.

Con il passare del tempo, la telecamera si sposta verso l’alto per mostrare i seni, i toraci, le braccia, le bocche. Mostra il movimento, carnale e impetuoso come una danza coreografata. Le scene di Lisistrata sono scomparse, ma il suo messaggio femminista rimane, così come il suo messaggio di libertà. In una scena straordinaria l’attrice che interpreta Lisistrata mette in dubbio le motivazioni di Najafi, lo accusa di essere un «turista» venuto a prendere un souvenir. E così pone il problema: «cosa è l’arte quando diventa politica? Cosa è?»

L’Iran è un paese difficile da capire, diverso da altri in cui si esercita la repressione del velo. Lo conosco abbastanza bene per sentire ogni volta che c’è una manifestazione a sostegno della protesta in corso il bisogno che provo di intervenire per spiegare che non si tratta dell’Afganistan: le donne iraniane sono addirittura maggioranza fra i docenti universitari, al vertice nel cinema, nell’editoria, nell’arte. Non viene impedito loro di andare a scuola. Il che rende la repressione del loro corpo anche più simbolicamente significativa e crudele: è proprio la sua identità sessuale, il suo genere, che si vuole colpire.
Ne parlo con Najafi, di questo come del rapporto con l’occidente di questa rivolta, che qualcuno vorrebbe far passare per «desiderio di occidente». No, concorda, in Iran amare l’occidente è un’ipotesi davvero improbabile.

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