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Avevamo ragione e facevamo paura

Avevamo ragione e facevamo pauraInterno della scuola Diaz dopo l'irruzione delle forze dell'ordine – Luca Zennaro/Ansa

Venti di Genova Indignados, Occupy Wall Street, Me Too, Fridays For Future, Black Lives Matter; ognuno di loro ha un filo rosso che conduce a Porto Alegre e a Genova

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 20 luglio 2021

Avevamo ragione e chi non ci ha ascoltato sta facendo pagare all’umanità un prezzo estremamente alto. Oggi, nessuno può smentire queste affermazioni. I rischi che avevamo individuato si sono tutti realizzati e non perché eravamo delle novelle Cassandre, ma perché movimenti sociali, scienziati e intellettuali avevamo unito le forze, messo a confronto la realtà quotidiana di miliardi di persone in ogni angolo della terra con le ricerche di una scienza non soggetta ai ricatti del potere; il risultato era stato evidente: se questo modello di sviluppo continuerà la sua corsa, il futuro dell’umanità sarà a rischio.

Avevamo denunciato: il dominio della finanza sull’economia e il mondo è stato travolto dalla crisi del 2007-2009; un modello energivoro, causa dei cambiamenti climatici: lo tsunami del 2004 e le tragedie ambientali degli anni seguenti hanno prodotto milioni di profughi mentre la terra, ogni anno, si impoverisce sempre più; una piramide sociale dove il 20% della popolazione possedeva l’80% della ricchezza globale, ed oggi la stessa quantità di ricchezza è posseduta da poco più del 8% degli abitanti del pianeta; indicavamo i migranti come le prime vittime del modello liberista e oggi il Mediterraneo è un cimitero collettivo.

La pandemia è il risultato di un modello di sviluppo che attraverso la deforestazione, gli allevamenti intensivi ecc. ha abbattuto le barriere tra le specie, favorendo il salto di agenti infettivi dagli animali all’essere umano. E la privatizzazione di una sanità, sempre più centrata sul profitto, ha contribuito ad aumentare il numero dei morti. Allora eravamo al fianco di Mandela che, per curare l’HIV, scavalcava i brevetti di Big Pharma, oggi siamo con l’India e il Sudafrica a batterci per la moratoria dei brevetti sui vaccini contro il Covid.
Gli avversari sono gli stessi di allora: il dominio del profitto, la santificazione del libero mercato; gli attori non sono cambiati più di tanto: grandi corporation, Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, Organizzazione Mondiale del Commercio coi quali si è integrato il capitalismo digitale Amazon, Facebook, Apple, e Microsoft…; le controfigure cambiano talvolta nome ma non natura: i governi dei Paesi più potenti, comunque amino definirsi.

Ci hanno chiamato No Global ma eravamo parte del movimento dei Forum Sociali che dalla rivolta di Seattle nel 1999 si organizzò nel gennaio del 2001 a Porto Alegre nel Forum Social Mondiale da dove si diffuse in ogni continente. Il primo movimento globale della storia dell’umanità, più propositivo che contestativo, capace di costruire convergenze tra realtà che per decenni si erano ignorate.
Faceva paura, per questo è scattata la repressione, quella in piazza, violenta e assassina, quella sui grandi media, non meno pericolosa e feroce. E l’Italia con il governo di destra, settori dello Stato che mai si erano riconosciuti nella Costituzione e un centrosinistra intento a rincorrere i contenuti della destra, ne è stata l’epicentro.

In America Latina i partiti progressisti aprivano un confronto con i movimenti contribuendo a quel decennio di vittorie elettorali che contribuirono a sottrarre decine di milioni di persone alla povertà estrema. In Europa il centrosinistra, nelle sue varie declinazioni, rifiutò ogni confronto con il movimento, nella convinzione di governare il neoliberismo contendendone la leadership alle forze conservatrici. Il risultato è evidente: il movimento venne isolato e represso, il liberismo, come da sua natura, aumentò le differenze sociali.
A molti cittadini, impoveriti e privati di un’ipotesi di riscossa collettiva fondata sulla giustizia sociale, non rimase che risvegliare l’egoismo individuale alla ricerca di un posto al sole. È il trionfo dei populismi; alle grida all’untore sollevate dai leader del centrosinistra verrebbe da rispondere: «chi è causa del suo mal pianga sé stesso», ma di mezzo c’è il destino di tutti.

I dogmi liberisti come: la parità in bilancio inserita nella Costituzione; la negatività dell’intervento statale nella sanità e nell’istruzione, a favore della privatizzazione dei servizi; la capacità del mercato di autoregolarsi garantendo sicurezza sociale hanno dimostrato, di fronte alla pandemia, la loro incapacità nel garantire un futuro all’umanità.
Davanti all’attuale disastro sociale i liberisti hanno dovuto fare un passo indietro, ammettere che qualcosa nelle loro tesi non aveva funzionato e richiamare in causa gli Stati a gestire una possibile ripresa economica evitando gravi esplosioni sociali.
«Il lupo perde il pelo, ma non il vizio» e i governi, compreso quello italiano, superato l’iniziale shock, ripropongono le grandi opere e la cancellazione dei vincoli sociali nel mercato del lavoro: dalla macelleria messicana alla macelleria sociale.

Ma intorno non c’è il deserto, in vent’anni vari movimenti hanno attraversato il pianeta: gli Indignados, Occupy Wall Street, Me Too, Fridays For Future, Black Lives Matter, per citarne alcuni; ognuno di loro ha un filo rosso che conduce a Porto Alegre e a Genova. Tornare oggi a Genova significa guardare in avanti, erigere ponti, chiedendo a chiunque, ad ogni livello, di costruire convergenze.
Nessuno può vincere la sua battaglia da solo. L’umanità ha urgenza di una rete delle reti, non identitaria, vivace e colorata che ponga all’ordine del giorno il destino dell’umanità. Il paziente è grave. «Voi siete la malattia. Noi la cura».

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