«Mi è stato ripetuto spesso che le storie delle registe di colore non interessano all’estero, che non possiamo immaginare di vincere premi né di conquistare il pubblico nelle sale. Mi era stato anche detto: “Non potrai mai partecipare a un festival come quello di Venezia” e invece è accaduto. Così è stato finalmente riconosciuto che nella sua storia c’era stata un’assenza. Bisogna ignorare i pregiudizi e fare le cose» afferma la regista Ava DuVernay alla conferenza stampa di presentazione di Origin, ricordando di essere la prima afroamericana delle autrici in concorso nella storia di Venezia.

«A UNA REGISTA di colore come me si fanno quasi sempre solo domande sul razzismo mentre ai registi bianchi si chiede delle loro opere. Ma ora il festival ha aperto le porte e spero rimarranno tali – ha proseguito DuVernay – l’arte deve immaginare il futuro, sfidando le strutture dominanti del potere, e può aiutare a immaginare un nuovo mondo dove ci sia la giustizia sociale. Sono stata molto colpita dall’omicidio di Trayvon Martin, questo è diventato un punto in comune tra me e Isabel Wilkerson: essere così emotivamente connesse alla sua morte. È stata una mia scelta e un onore aprire e chiudere il film sul suo volto».

I riferimenti sono al ragazzo afroamericano di 17 anni ucciso nel 2012, scintilla del movimento Black Lives Matter, e alla saggista al centro del film di DuVernay. La regista ha infine rivendicato la scelta di averlo prodotto fuori dagli studios: «Ho realizzato con loro film di cui sono orgogliosa – il precedente è Nelle pieghe del tempo, Disney – ma c’è un aspetto di controllo lì, ad esempio non credo avrei potuto scegliere, come ho fatto, di lavorare sia con attori e attrici professionisti che con materiale d’arcivio e persone della vita reale».