Per comprendere la gravità di quanto avvenuto ieri pomeriggio in Commissione Affari costituzionali della Camera, nell’esame degli emendamenti all’Autonomia differenziata, è bene evitare aggettivazioni forti, che pure sarebbero opportune. La maggioranza ha infatti fatto ripetere una votazione, già effettuata mercoledì scorso, e il cui esito era sgradito al centrodestra.

UNA PRASSI che va non solo contro i Regolamenti parlamentari e contro la Costituzione, ma anche contro il presidente della Camera Lorenzo Fontana, che ha ricevuto uno schiaffo dalla maggioranza stessa. Mercoledì era stato approvato un emendamento di M5s al ddl Calderoli, che cancellava la parola «autonomia» al primo articolo. Come si può leggere sul resoconto, il presidente della Commissione, Nazario Pagano, aveva indetto la votazione e visto l’esito negativo, subito annunciato dal segretario della Commissione, Pasquale Penza (M5s), Pagano non ha proclamato il voto, l’atto che rende ufficiale l’esito. Sospesi i lavori, questi sono ripresi ieri mattina, con l’intento del centrodestra di ripetere la votazione sgradita, suscitando le proteste delle opposizioni.

È INTUIBILE perché la non ripetibilità del voto è uno dei cardini del parlamentarismo, tanto è vero che è esclusa dal Regolamento di Camera e Senato: se fosse possibile, la maggioranza pro tempore potrebbe far ripetere ad libitum una votazione fino ad avere l’esito gradito. Ma all’intuizione si aggiungono principi costituzionali che la destra ha bellamente ignorato. Se si potesse ripetere un voto, la maggioranza potrebbe sostituire il proprio deputato dissidente in Commissione, violando l’articolo 67 della Costituzione, quello per il quale l’eletto «rappresenta la nazione» e non ha un vincolo di mandato rispetto al partito. Argomento che ieri diversi parlamentari d’opposizione hanno ricordato (Alfonso Colucci e Filiberto Zaratti di M5s, Simona Bonafè del Pd, Maria Elena Boschi di Iv).

MERCOLEDÌ, al termine della bagarre, era stato tirato in ballo il presidente della Camera Fontana, interpellato da Pagano su richiesta delle opposizioni, sulla regolarità del voto. Ebbene, Fontana ha replicato con una missiva resa nota ieri. Da una parte ha affermato che è il presidente della Commissione a essere responsabile della regolarità della votazione, dall’altra ha esposto dei criteri generali da seguire che smentiscono quanto invece lo stesso Pagano ha fatto su pressione di Fdi e Lega. Nei casi in cui il Presidente di Commissione – ha spiegato Fontana – «ritenga di interrompere, annullare, revocare una votazione» oppure se sussiste «incertezza sull’esito di una votazione conclusa», la controprova deve avvenire «quanto più possibile nell’immediatezza di tale decisione» – e non dunque 48 ore dopo – «così da ridurre al massimo i rischi di alterazione della composizione preesistente del collegio». Appunto perché cambiare il «collegio», cioè i deputati presenti alla votazione, significa mettere in dubbio l’assenza del vincolo di mandato.

DOPO AVER LETTO la lettera di Fontana le opposizioni hanno chiesto la convocazione di una conferenza dei capigruppo al presidente della Camera, riunione che interrompe i lavori della Commissione. Fontana era in volo per Bruxelles e ha quindi convocato per le 21 la capigruppo così da svolgerla in presenza. Un evidente segno che aveva considerato gravi gli argomenti delle opposizioni. La maggioranza ha preferito ignorare il gesto di Fontana e, anziché attendere le decisioni del Presidente della Camera, ha fatto ripetere il voto sgradito, dichiarando quindi implicitamente irrilevante l’esito della capigruppo della sera e le deliberazioni di Fontana.

INUTILE anche la proposta delle opposizioni di accantonare la ripetizione del voto, e procedere su altri emendamenti, proprio per tutelare l’autorevolezza di Fontana. Paradossalmente, questi è stato difeso da chi non lo ha eletto, mentre il centrodestra gli ha dato uno schiaffo politico e istituzionale che il Presidente della Camera non meritava e che risulta inutile. La maggioranza poteva rimediare all’autosgambetto in Aula con un emendamento che ripristinasse il testo voluto. Non è dunque esagerato il commento della segretaria Dem Elli Schlein: «Non c’è rispetto del Parlamento. Stanno imponendo una vera e propria dittatura della maggioranza».