I percorsi delle due riforme volute dal centrodestra, l’autonomia differenziata e il premierato, torneranno a incrociarsi a gennaio: infatti la prima approderà nell’aula del Senato il 16 novembre, mentre per la seconda sono stati fissati i termini per la road map in commissione, con il 29 gennaio indicato come data per la presentazione degli emendamenti. Ma a incrociarsi saranno anche i nodi delle due riforme e in particolare uno riguardante l’autonomia differenziata che sta avvelenando il clima nel destra-centro.

SINTETIZZANDO I QUESITI che riguardano il ddl Casellati sul premierato, basta ricordare che nelle audizioni degli esperti anche i giuristi favorevoli all’elezione diretta del premier hanno “smontato” il testo, in particolare tutti i punti voluti dalla Lega: «le Calderolate» le ha definite il senatore dem Dario Parrini. In particolare la fiducia dalle Camere nonostante l’elezione diretta, la conseguente norma “antiribaltone” che in realtà favorisce i ribaltoni. In Fdi ci si interroga sul da farsi per non irritare gli alleati.

Poi ci sono obiezioni ancora più grandi che riguardano l’impianto stesso del testo, evidenziate da tutti i costituzionalisti, dai “grandi vecchi” come Enzo Cheli, a Stefano Ceccanti e Francesco Clementi: con l’elezione dei deputati “trainati” dal voto al candidato premier viene meno la separazione del potere esecutivo e di quello legislativo, caposaldo del costituzionalismo occidentale. Ma questo è un tema che coinvolge l’intera maggioranza che deve decidere se proseguire su una strada che porterà a una crisi istituzionale, cambiare radicalmente pur mantenendo l’elezione diretta o, infine, rinunciare all’elezione diretta.

Il nodo che in questi giorni ha inasprito il confronto riguarda l’autonomia differenziata e in particolare quello che è apparentemente un aspetto marginale: la norma transitoria. Qui (articolo 11) si dice che le richieste di autonomia differenziata «già presentate al Governo, di cui sia stato avviato il confronto congiunto tra il Governo e la Regione interessata prima della data di entrata in vigore della presente legge, proseguono secondo quanto previsto dalle pertinenti disposizioni della presente legge». Si tratta di Veneto e Lombardia che sono arrivate già al livello delle pre-intese.

LA LEGGE CALDEROLI prevede una serie di limiti e caveat per le future eventuali richieste di altre regioni, a cui Veneto e Lombardia non dovranno sottostare. In particolare l’articolo 2 del ddl Calderoli stabilisce che una volta che una regione ha avanzato la richiesta di autonomia differenziata, si apre una trattativa complessa col governo su ciascuna delle materie su cui si chiede l’autonomia. Il governo deve compiere verifiche finanziarie su ciascuna materia, potendo quindi negare l’autonomia su una o più materie. Dopo di che si arriva alla pre-intesa, che è il livello a cui sono giunte le richieste di Veneto e Lombardia.

Ma queste due regioni hanno fatto richiesta per tutte e 23 le materie su cui è possibile richiedere l’autonomia differenziata. Alcune sono surreali, tipo «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia». A non piacere a Fratelli d’Italia, però, è ben altro: «Norme generali sull’istruzione». Quindi l’intero capitolo scuola passerà di competenza, senza una valutazione del fatto che ciò possa sottrarre risorse alle altre regioni. Per Fdi, molto forte elettoralmente al Sud, è difficile difendere questo aspetto. Come se non bastasse Veneto e Lombardia hanno già annunciato di voler promuovere addirittura una contrattazione collettiva territoriale per i docenti che insegneranno nelle loro regioni: a quel punto ci sarebbe una fuga di insegnanti dal meridione verso le due regioni.

GLI EMENDAMENTI delle opposizioni che abrogavano la norma transitoria sono stati tutti bocciati in commissione, ma in sede di dichiarazione di voto Fdi ha risollevato il problema, così come il presidente della Commissione Alberto Balboni. Al momento il ministro Calderoli resiste nel suo «niet».