Il Presidente della Repubblica ha promulgato la legge Calderoli; è ora del referendum, per dare voce a un controcanto, in difesa dell’uguaglianza e della democrazia sociale. L’autonomia differenziata che si profila è devastante per la democrazia.

Ne inaridisce la linfa, l’uguaglianza, territoriale e sociale; le toglie il nutrimento necessario, la garanzia dei diritti sociali (non surrogabile da fantomatici lep, stretti nella morsa dell’invarianza di bilancio e atti a giustificare la dimidazione della tutela). È una attuazione della Costituzione incostituzionale, quindi, occorre ricorrere a tutti gli strumenti a disposizione. Fra questi, il ricorso in via principale alla Corte costituzionale (promosso da una o più regioni entro i 60 giorni dalla pubblicazione della legge) e il referendum abrogativo. Quest’ultimo veicola effetti ulteriori: richiede presenza nei territori e può incentivare un radicamento della rappresentanza; favorisce la costruzione di sinergie tra i movimenti che attraversano la società e i partiti; promuove la composizione di un controcanto.

Non si tratta di ascoltare le sirene del “dare la voce al popolo”, cedendo a suggestioni plebiscitarie e in linea con l’acclamazione del capo, ma, al contrario, di innescare attraverso la campagna referendaria dinamiche di partecipazione effettiva.

Ampliando lo sguardo, il referendum è una occasione per spezzare l’autoreferenzialità del circuito politico-rappresentativo; le argomentazioni del no (l’«uomo che dice no… se rifiuta, non rinuncia tuttavia: è anche un uomo che dice di sì», ricorda Camus) propongono un’altra politica, altra nei contenuti e nei modi. Troppo per un referendum? Forse sì, ma iniziamo a vederlo come opportunità di cambiamento, con un ottimismo militante (Bloch), un realismo non arreso.

La raccolta delle firme (restando auspicabili anche delibere dei consigli regionali) ai banchetti (molto meno efficace in tal senso è la firma con il click), come la campagna referendaria, attivano partecipazione, di per sé antidoto allo svuotamento della democrazia e alla deriva autoritaria del premierato. Ancora. La battaglia contro l’autonomia differenziata, coinvolgendo – ahimè – molteplici profili, dalla sanità alla scuola, dal lavoro all’ambiente, si presta particolarmente ad una prospettiva di fronte unico. Non solo: è una lotta che chiama in causa la materialità dell’esistenza, le pre-condizioni sociali ed economiche della democrazia, ed in questo senso può riportare sulla scena il conflitto sociale.

Detto questo, resta la consapevolezza dei rischi, giuridici e politici, di cui si è già ragionato in queste pagine. Sotto il profilo giuridico, c’è l’alea del giudizio di ammissibilità della Corte costituzionale. Mi limito a osservare: a) che la legge Calderoli non è costituzionalmente necessaria, e in quanto tale non sottoponibile a referendum, dato che la norma costituzionale delinea già un procedimento (come confermato dalla firma delle pre-intese del 2018); b) che il semplice collegamento con la legge di bilancio non vale ad integrare l’esclusione dal referendum ai sensi dell’articolo 75 della Costituzione.

Quanto al dato politico, se la raccolta delle firme, pur con l’arduo termine del 30 settembre, non pare impossibile se sorretta da una adeguata volontà politica, resta la difficoltà di raggiungere il quorum strutturale (la partecipazione della maggioranza degli aventi diritto), ma questo è sprone all’impegno. La campagna può essere uno strumento per combattere non solo l’astensione dal voto ma in senso ampio la disaffezione politica, l’indifferenza, la passività, assumendo quindi un valore in sé. In questa prospettiva perde rilievo anche il fatto che intese potrebbero essere adottate a prescindere o in deroga alla legge Calderoli, con una diretta applicazione dell’articolo 116, comma 3, della Costituzione, perché il referendum aiuterebbe a creare la consapevolezza politica che può fermarle.

Vincere il referendum sarebbe un segnale politico forte, provarci è necessario per la posta in gioco e perché la campagna referendaria può in ogni caso contribuire alla costruzione di una visione politica alternativa, ancora distante dall’egemonia, ma che almeno inizi ad intonare un controcanto; un controcanto che suona la melodia della Costituzione e porta nella politica la voce del conflitto e della speranza, come elementi necessari per la trasformazione dell’esistente.