Autonomia differenziata, cacofonia di governo
Alla camera il 15 giugno abbiamo visto la ministra Carfagna battere un colpetto. Di più proprio non possiamo concedere per la sua risposta in question time ai deputati Conte e […]
Alla camera il 15 giugno abbiamo visto la ministra Carfagna battere un colpetto. Di più proprio non possiamo concedere per la sua risposta in question time ai deputati Conte e […]
Alla camera il 15 giugno abbiamo visto la ministra Carfagna battere un colpetto. Di più proprio non possiamo concedere per la sua risposta in question time ai deputati Conte e Fassina, che ponevano interrogativi sui rischi derivanti per l’unità del paese dall’autonomia differenziata. L’approccio di Carfagna è in apparenza assai bellicoso. Pone tre «questioni imprescindibili»: livelli essenziali delle prestazioni (Lep) e fondo perequativo tra regioni; abbandono del principio della spesa storica; pieno coinvolgimento del parlamento nel processo attuativo. Peccato che il primo sia un miraggio. Mentre il secondo e il terzo sono esplicitamente contraddetti dal testo della cosiddetta legge-quadro uscito dagli oscuri cassetti del ministero delle autonomie.
È una bozza aperta al confronto, come dice Carfagna, o è un disegno di legge ormai alla soglia del consiglio dei ministri, come dice Gelmini? Certo, se arrivasse in consiglio così com’è, a questo punto Carfagna dovrebbe solo votare contro. E allora qual è l’indirizzo di governo sull’autonomia differenziata?
Qui si rischia un compromesso al ribasso, di scambio tra Lep e perequazione da un lato, autonomia differenziata dall’altro. L’ipotesi è già venuta in campo, forse anche nelle «questioni imprescindibili» poste da Carfagna. Ma Lep e perequazione sono un miraggio, o magari uno specchietto per le allodole. Richiedono, per essere davvero efficaci nell’attaccare diseguaglianze nei diritti e divari territoriali, un ciclo economico duraturo di crescita sostenuta che assicuri le compatibilità di bilancio necessarie per risorse aggiuntive ai meno fortunati sufficienti a ridurre, nel tempo e progressivamente, il distacco. Diversamente, rimarranno marginali.
Questo perché in politica Robin Hood non esiste. Togliere gli asili nido a Reggio Emilia per darli a Reggio Calabria è politicamente impraticabile. Una stagione di vacche magre, di stagnazione e di crescita stentata, non può essere una stagione d’oro per Lep e perequazione. È quel che è accaduto in passato, e che probabilmente accadrà con la guerra in Ucraina. Già vediamo che il tasso di crescita crolla, i conti pubblici peggiorano, lo spread rialza minacciosamente la testa. E dunque le perequazione sono in sé cosa buona e giusta e vanno perseguiti, ma certo non bastano. La vera «questione imprescindibile» per un tempo nuovo di coesione e di eguaglianza è una crescita sostenuta e duratura. Per questo la scommessa è sul rilancio del Sud come seconda locomotiva del paese, come da più parti si chiede. Al tempo stesso, bisogna evitare scelte che rendano difficili o impossibili le forti politiche pubbliche – nazionali – necessarie a tal fine. In questa prospettiva l’autonomia differenziata reca danno a tutti, e non solo al Sud. È la continuazione delle politiche che hanno condotto le nostre eccellenze del Nord – Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana – a una caduta rovinosa nelle classifiche territoriali europee, come dimostra la Svimez (Rapporto 2021). Ma questo non intendono i fan dell’autonomia differenziata, come il professor Andrea Giovanardi, membro della delegazione trattante del Veneto, che sul Foglio del 16 giugno attacca frontalmente chi osa criticare la legge-quadro a firma Gelmini. Il suo ragionare conferma che abbiamo fatto bene a presentare in senato il disegno di legge costituzionale di iniziativa popolare per una revisione mirata degli articoli 116 (autonomia differenziata) e 117 (riparto di potestà legislative tra stato e regioni), di cui ha dato notizia ieri questo giornale.
Per Giovanardi l’emarginazione del parlamento è inevitabile perché la legge di approvazione dell’autonomia differenziata è adottata sulla base di intesa tra Stato e regione. Se è così, bisogna cancellare non l’autonomia differenziata, ma il principio dell’intesa come fondamento necessario. Come noi proponiamo. Se la legge quadro non può ridurre il numero delle aree di competenza devolvibili, allora bisogna togliere dal catalogo delle potestà concorrenti – tutte devolvibili – quelle strumentali a politiche pubbliche nazionali strategiche, in più introducendo un principio di supremazia della legge statale in vista dell’unità giuridica ed economica del paese e dell’interesse nazionale. Come noi proponiamo. Invero, altre interpretazioni sarebbero possibili, ma sono proprio i Giovanardi – che a palazzo Chigi è ascoltato – a rendere una riforma opportuna, se non necessaria.
Il film del Giovanardi-pensiero l’abbiamo già visto. Errare è umano, perseverare è diabolico. Il presidente Zaia ci ha anche informato che sul tema dell’autonomia differenziata c’è un patto tra gentiluomini, da rispettare. Non sappiamo di chi si tratta, ma dubitiamo che – politicamente – lo siano davvero.
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