«Aumentare le estrazioni non risolve la crisi energetica»
Intervista Enzo Di Salvatore (No Triv): Le concessioni attualmente vigenti sono 46, ne vogliono aggiungere altre 5 nuove
Intervista Enzo Di Salvatore (No Triv): Le concessioni attualmente vigenti sono 46, ne vogliono aggiungere altre 5 nuove
L’incidenza del gas italiano sul fabbisogno energetico nazionale è davvero risibile. Aumentare le estrazioni sul territorio nazionale non ci farà uscire dalla crisi energetica». A dirlo è il professore di diritto costituzionale e coofondatore del Coordinamento nazionale No Triv, Enzo Di Salvatore. Aumento delle quantità estratte da coltivazioni esistenti in mare e nuove concessioni tra le 9 e le 12 miglia. Con il dl Aiuti quater il Consiglio dei Ministri ha riscritto la mappa delle trivellazioni. Anche l’Adriatico, interdetto per 12 anni, ora torna in pista.
Professore, qual è l’effetto che avrà sui territori il via libera del governo?
Non parliamo solo delle estrazioni in mare, ma anche di quelle su terraferma: si tratta di un mezzo colpo di spugna al Pitesai (Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee), introdotto con legge dal Parlamento nel 2019, con cui si era stabilito che in alcune aree del nostro territorio le attività di ricerca e di estrazione dovessero essere vietate perché incompatibili. La proposta del governo Meloni stabilisce, invece, chiaramente due cose: che, per un verso, le concessioni esistenti potranno essere estese fino a ricadere in aree considerate dal Piano solo in parte compatibili, per un altro verso, che potranno essere rilasciate nuove concessioni ricadenti in aree marine poste tra le 9 e le 12 miglia. Sottolineo che il divieto di cercare e di estrarre idrocarburi entro il mare territoriale fu voluto dal governo Berlusconi, al quale partecipava anche Giorgia Meloni, con il sostegno della Lega; e che il motivo era solo uno: tutelare per ragioni di carattere ambientale il mare territoriale.
Un voltafaccia a tutti gli effetti…
Sì. Quel divieto fu confermato anche dai governi successivi, a iniziare dal governo Monti (sostenuto da Berlusconi e da tutto il Popolo della Libertà). Il Pitesai è stato concretamente realizzato dal governo Draghi (sostenuto da Forza Italia e dalla Lega). Al referendum del 2016, relativo proprio alla ricerca e all’estrazione di idrocarburi entro le 12 miglia, contro le trivellazioni si schierarono sia la Lega sia Fratelli d’Italia. Il che la dice lunga non solo sulla coerenza che le forze politiche esprimono sul tema, quanto sul fatto che la classe politica non sembra avere idee chiare sulla politica energetica del nostro Paese. Lo prova la serie infinita di decreti-legge che dal 2010 ad oggi si sono succeduti: una strategia energetica a medio e lungo termine non può essere perseguita a colpi di decreti-legge.
Come cambia lo scenario delle trivellazioni nel nostro Paese?
Escludo che si possa far fronte alla crisi energetica estraendo gas tra le 9 e le 12 miglia marine. La percentuale di gas sarebbe risibile. Al momento in cui è scoppiata la crisi, che è iniziata ben prima della drammatica questione ucraina, l’Italia dipendeva dal gas di Mosca per il 40%, la Germania per il 50%, la Francia per il 16%. L’incidenza del gas italiano sul fabbisogno energetico nazionale – considerati terraferma e mare – era di pochissimi punti percentuali, pari a circa il 5%. A quanto si può sperare di elevare quella percentuale? Il governo sostiene di poter estrarre 15 miliardi di metri cubi in dieci anni. Entro dieci anni, appunto.
Quante nuove concessioni ci potrebbero essere? E quali sono i territori maggiormente colpiti dalle nuove disposizioni?
Quelle attualmente vigenti sono 46. Il governo spera di autorizzare 5 nuove concessioni. Ciò ovviamente sconta due presupposti: che esistano già permessi di ricerca a monte e che, però, vi siano anche multinazionali interessate ad estrarre quel gas alle condizioni poste dalla nuova normativa. La titolarità del permesso non è detto che coinciderà con quella della concessione. E non è del tutto chiaro in che modo pensino di procedere. I territori coinvolti sono potenzialmente tutti quelli interessati da concessioni già vigenti. A questi si aggiungeranno nuove concessioni, come quelle riguardanti il Delta del Po e una parte del Canale di Sicilia. Non è chiaro se tutto ciò riguarderà anche il Golfo di Venezia.
Una serie di giravolte: dalla posizione assunta durante il referendum nel 2016 al vertice Cop27 sul clima. Come interpreta la politica del governo Meloni?
Non molto positivamente. A me pare che il nostro Paese si stia dimostrando schizofrenico: da un lato, si decide di modificare la Costituzione e di introdurre all’articolo 9 la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi come principio fondamentale; poi si adotta un Piano che si richiama alla «transizione energetica sostenibile» e si stabilisce che alcune aree del nostro territorio non siano idonee allo svolgimento di quelle attività; infine, si va alla COP 27 e si afferma che l’Italia «rimane profondamente impegnata nel percorrere il proprio cammino verso la decarbonizzazione». Ecco, lo sblocco delle trivellazioni contraddice tutto questo. Così facendo, l’Italia non riuscirà a rispettare gli impegni assunti con gli accordi sul clima, nonché quelli contratti in sede europea, e cioè sarà arduo ridurre le emissioni in atmosfera del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e arrivare alla neutralità climatica entro il 2050. Arduo se non impossibile.
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