Non che prima del 2006 fosse sfuggito del tutto all’attenzione, ma sembra che da allora una poderosa serie di convegni, pubblicazioni, progetti di ricerca e di digitalizzazione, finanche una mostra, abbia finalmente messo in moto le energie necessarie per tenere il passo di Aubin-Louis Millin (1759-1818) durante il suo viaggio in Italia. La principale difficoltà derivava dal fatto che, grazie al sostanzioso finanziamento ricevuto dal Ministero degli Interni dell’Impero francese, questo singolare erudito potette essere particolarmente ambizioso, una volta messosi in testa di pubblicare una sorta di voyage pittoresque abbondantemente illustrato.

Millin aveva cinquantadue anni quando si allontanò da Parigi e da una posizione di tutto rispetto in seno alla stessa biblioteca che oggi preserva memoria di quell’unico periodo della sua vita trascorso all’estero: la Bibliothèque nationale de France, o più semplicemente la BnF per chi la frequenta. Era, infatti, direttore del Cabinet des Médailles, formatosi nei secoli come collezione reale di antichità, gemme, medaglie e oggetti rari, aperto al pubblico nel XVIII secolo e, con lui, divenuto il luogo naturale del primo corso di archeologia in Francia. Per intenderci, il nuovo museo della BnF inaugurato due mesi fa – al completamento dei lavori di ammodernamento del sito storico dell’istituzione (il ‘Site Richelieu’) – trova il suo ascendente in questo museo dalle origini remote, quando collezioni librarie e collezioni antiquarie assecondavano in maniera complementare il desiderio di conoscenza del mondo e, finanche negli allestimenti, dialogavano tra loro.

Quanto a formazione, obiettivi e metodo, maturati tra antiquaria e scienze naturali, Millin fu degno figlio dell’Età dei Lumi, ma seppe pure fare strada a una sensibilità diversa, che spingendosi oltre lo studio dell’Antico riconosceva anche ai monumenti di altre età un valore essenziale per lo studio della Storia, a partire da quelli del negletto Medioevo. Il primo incentivo all’interesse a lui riservato, soprattutto dagli storici dell’arte medievale e non a caso, sono stati, dunque, gli oltre mille disegni che, tra il 1811 e il 1813, egli fece realizzare nella Penisola: interesse che poi, per via di intrecci tematici, si è in parte esteso alla corrispondenza e agli appunti di viaggio. La sua istituzione (allora Bibliothèque royale) acquisì questa messe di materiali entro pochi anni dalla morte di Millin, che, con l’Impero, vide dissolversi anche il suo progetto editoriale. In sostanza, quanto riuscì a pubblicare sul «Magasin encyclopédique» nel 1814, negli opuscoli sulle tombe di Pompei e di Canosa, e nei due volumi sull’Italia settentrionale era null’altro che la punta di un iceberg.

Il risultato più recente delle sinergie degli ultimi quindici anni sono i due volumi pubblicati in cofanetto sotto il titolo À travers la Calabre napoléonienne (euro 45,00, Le Passage e Bibliothèque nationale de France). Realizzati sotto la direzione scientifica di Corinne Le Bitouzé e Gennaro Toscano – che lavorano entrambi presso la stessa BnF – permettono di ripercorrere tappa dopo tappa l’esplorazione compiuta da Millin nel Sud Italia: uno, con gli appunti compulsivamente presi dall’erudito nel 1812, durante due mesi di viaggio (pp. 349); e l’altro, con i 155 disegni realizzati dal pittore prussiano Franz Ludwig Catel (1778-1856) sulle rotte tra Amalfi e Reggio Calabria. E se un po’ si conoscono questi materiali o si legge tra le righe, il solido impianto costruttivo dei due volumi appare con più evidenza: un paziente lavoro filologico su centinaia di fogli divisi tra una decina di unità documentarie e poi ricomposti come coerente journal de voyage; e una meritoria ostinazione nell’andare a verificare sui luoghi quanto notato in scritti e disegni.

Il saggio di Gennaro Toscano è un viaggio nel viaggio alla scoperta dei luoghi visitati da Millin, le sue motivazioni, i suoi incontri, l’attenzione ai monumenti e ai loro contesti. Nelle città della Magna Graecia, pesantemente colpite dal terremoto del 1783, la ricerca implacabile dell’Antico si fece curiosità pionieristica di fronte alle tracce della dominazione normanna: particolarmente a Mileto, Tropea e Gerace. Sullo sfondo, s’intravedono i bagliori dell’età napoleonica che aveva portato sul trono di Napoli proprio due francesi: prima Joseph Bonaparte, poi Joachim Murat, rispettivamente fratello e cognato di Napoleone. Al secondo si doveva la recente repressione del brigantaggio nei terrori calabresi, che altrimenti sarebbero risultati inaccessibili, anche perché gli inglesi, alleati dei Borbone in esilio a Palermo, apparivano ancora minacciosi al largo della costa.

E perciò Millin fu costretto ad andare per l’interno. Una volta giunto a Reggio Calabria, si spostò sul versante ionico, attraversando la Sila come già aveva fatto attraversando il Vallo di Diano, nell’andare dal Cilento verso la Basilicata, cioè a dorso di mulo. Oltre a Catel e al suo segretario, si trovava con lui, almeno fino a un certo punto, Astolphe de Custine (1790-1857), giovane scrittore che oggi fa da controcanto alla sua narrazione con le lettere calabresi pubblicate nel 1830. Per ferrea volontà dell’erudito, non potevano mancare i libri in quel viaggio. Non molto era stato scritto sulla Calabria, ed egli si si avvalse principalmente dei Travels into Two Sicilies di Henry Swinburne e del Voyage pittoresque de l’Abbé de Saint Non, oltre all’Atlante geografico delle Due Sicilie, con le carte incise del geografo Giovanni Antonio Rizzi-Zannoni tra il 1788 e il 1812: con tutta probabilità, l’opera più utile nelle sue mani.

Il saggio di Corinne Le Bitouzé è un affondo sulla partecipazione di Catel a quel viaggio e ritorna su una questione di non poco conto come l’utilizzo precoce della camera lucida da parte del pittore, che potrebbe esserne venuto a conoscenza proprio grazie a Millin. Brevettata nel 1806, avrebbe consentito a Catel precisione e velocità d’esecuzione, fattori importanti tanto perché il viaggio imponeva dei ritmi sostenuti quanto perché l’interesse di Millin si appuntava non solo sui i monumenti ma anche sul paesaggio. Degno di nota è il panorama preso da Palmi, con la costa calabrese e il litorale siciliano che occupano otto fogli. L’ultimo saggio introduttivo è di Alessandro Russo ed era necessario perché i disegni e le note di viaggio, che abbondano particolarmente di iscrizioni, reclamavano una riflessione sul valore da essi avuto in rapporto a monumenti e oggetti antichi agli albori delle esplorazioni archeologiche in Calabria, dove si affaccia, ancora giovane, l’antiquario Vito Capialbi: una delle molte figure interessanti incontrate da Millin, che non sarebbe stato ciò che fu senza la sua straordinaria capacità di intessere relazioni con autorità politiche e militari, nobili e intellettuali.