Attacco a Elad: 3 israeliani uccisi. Sgomberi di massa in Cisgiordania
Palestina/Israele Nel giorno in cui Tel Aviv festeggia l'indipendenza, due attentatori colpiscono la città, è caccia all'uomo. Ad al-Aqsa 600 estremisti israeliani marciano scortati dalla polizia. E la Corte suprema chiude un caso lungo 20 anni: ordinata la cacciata di 1.300 palestinesi da 12 villaggi a Masafer Yatta. B'Tselem: «L’occupato non potrà mai avere giustizia dai tribunali dell’occupante»
Palestina/Israele Nel giorno in cui Tel Aviv festeggia l'indipendenza, due attentatori colpiscono la città, è caccia all'uomo. Ad al-Aqsa 600 estremisti israeliani marciano scortati dalla polizia. E la Corte suprema chiude un caso lungo 20 anni: ordinata la cacciata di 1.300 palestinesi da 12 villaggi a Masafer Yatta. B'Tselem: «L’occupato non potrà mai avere giustizia dai tribunali dell’occupante»
È di tre uccisi e quattro feriti il bilancio dell’attentato che ieri ha colpito la città israeliana di Elad. Secondo le prime informazioni, i responsabili sarebbero due uomini armati di un’ascia e una pistola, in due diversi luoghi.
Subito è partita la caccia all’uomo: la polizia ha chiesto ai residenti di restare a casa e ha costellato la zona di checkpoint volanti. Nel momento in cui andiamo in stampa non si hanno informazioni sull’identità degli attentatori che hanno colpito nel giorno della celebrazione israeliana dell’indipendenza (secondo il calendario ebraico), la creazione dello Stato 74 anni fa.
Per i palestinesi è la Nakba, la catastrofe: l’espulsione di quasi un milione degli abitanti della Palestina storica nel 1948 (l’80% del totale) e l’inizio di una vita in diaspora. Ieri la ongoing Nakba, la catastrofe che continua, si è mostrata in due delle forme tipiche di questi sette decenni di mancata libertà: l’avanzata coloniale per mano di gruppi estremisti, avallati dal governo, e quella «legale», a colpi di leggi e sentenze che hanno istituzionalizzato quella che le ong per i diritti umani, internazionali, israeliane e palestinesi, definiscono apartheid.
A GERUSALEMME l’indipendenza è stata festeggiata dall’estrema destra israeliana con la marcia di 600 coloni sulla Spianata delle Moschee. Guidati dal parlamentare Yehuda Glick (tra i promotori del movimento che vuole la costruzione del Tempio sulle eventuali macerie di al-Aqsa) e scortati dalle forze di sicurezza israeliana, sono entrati dal Moroccan Gate e hanno marciato, pregando e sventolando bandiere israeliane, mentre ai fedeli musulmani era impedito l’accesso.
Come nelle settimane passate, caratterizzate dai numerosi raid delle forze israeliane, moltissimi palestinesi hanno trascorso la notte nella moschea al-Qibli. Sono seguiti proteste e scontri: la polizia ha sparato proiettili di gomma e lacrimogeni, arrestato circa 50 palestinesi (tra cui un paramedico) e ferito decine con i manganelli.
Poche ore prima era stata la Corte suprema a marcare l’indipendenza: con una sentenza che chiude due decenni di battaglie legali, ha negato ai palestinesi residenti la proprietà delle terre dei 12 villaggi di Masafer Yatta (le colline a sud di Hebron, nella Cisgiordania occupata).
QUELLE TERRE, ha stabilito la Corte, sono a disposizione dell’esercito che nel 1981 lì creò la Firing Zone 918, zona di addestramento militare scelta sia per la sua particolare geografia, sia per motivi di colonizzazione. Per questo Israele ha diritto allo sgombero dei 1.300 palestinesi che ci vivono da generazioni ma incapaci – secondo la corte – di dimostrare di essere residenti permanenti e non solo nomadi stagionali.
Per i palestinesi – che da decenni sopravvivono tra colonie, demolizioni di case, confische di greggi, divieto ad allacciarsi alle reti idrica ed elettrica – è l’ennesimo caso di trasferimento di massa forzato, vietato al potere occupante dal diritto internazionale e dalla Convenzione di Ginevra. Amaro il commento dell’associazione israeliana B’Tselem: «L’occupato non potrà mai avere giustizia dai tribunali dell’occupante».
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