«Il fatto non sussiste». Quattro parole hanno chiuso ieri una vicenda lunga sei anni. Al centro erano finiti tre attivisti di Baobab Experience. Accusati di favoreggiamento dell’emigrazione clandestina per aver aiutato, il 4 ottobre 2016, otto ragazzi sudanesi e un ciadiano a raggiungere il centro della Croce rossa di Ventimiglia. Andrea Costa, presidente dell’associazione, e un’altra volontaria avevano fatto una colletta di 250 euro per l’autobus, una terza persona aveva accompagnato i migranti. Per gli inquirenti l’obiettivo era aiutarli a varcare irregolarmente il confine francese, cosa peraltro mai accaduta perché i cittadini stranieri sono stati intercettati dalle forze dell’ordine e spediti a Taranto. Ieri anche il pm ha chiesto l’assoluzione, arrivata per tutti e tre gli imputati al termine di un processo svolto con rito abbreviato.

«Rifarei tutto. Continueremo ad aiutare le persone che hanno bisogno, così come sta avvenendo per i profughi che arrivano dall’Ucraina», ha dichiarato Costa all’uscita dal tribunale di Roma. Ad attenderlo una piccola folla: ragazzi con lo striscione di Baobab, le magliette di Mediterranea, le bandiere di Amnesty International, esponenti di Rifondazione e Arci. Al presidio anche il segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni che ha dichiarato: «Felici per l’assoluzione ma ora cambino le politiche migratorie. Le istituzioni si impegnino davvero per accoglienza, assistenza, integrazione».

«Soddisfazione» è stata espressa dalla Cgil che ha parlato di un impianto accusatorio «sconcertante». L’accusa di favoreggiamento era emersa da un’indagine condotta inizialmente dalla Direzione distrettuale anti-mafia (Dda) con l’ipotesi di reato di associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento dei migranti. Di cui gli inquirenti non hanno trovato prova.

Solidarietà ai volontari è arrivata anche da esponenti del centro-sinistra: dalla vice-presidente dell’Emilia-Romagna Elly Schlein ai deputati Pd Erasmo Palazzotto, Cecilia D’Elia e Matteo Mauri. Tanti altri, attivisti e cittadini comuni, hanno rilanciato sui social lo slogan: «La solidarietà non è reato».

Un auspicio, più che un dato di fatto. Perché è proprio l’ambigua formulazione dell’articolo 12 del Testo unico sull’immigrazione, che disciplina il «favoreggiamento», a non distinguere tra solidali e trafficanti. Il profitto, infatti, non è un elemento costitutivo del reato ma solo un’aggravante.

«È necessario che il legislatore intervenga sulla norma o che questa sia interpretata alla luce dei principi costituzionali», afferma l’avvocato Francesco Romeo, che ha difeso i tre volontari di Baobab. «L’incriminazione per favoreggiamento dell’immigrazione o emigrazione clandestina dovrebbe servire a punire chi specula sui migranti o chi li mette in pericolo. Se nelle condotte non c’è sfruttamento, lucro o rischi per le persone non si può sostenere che siano reati».

Basterebbe introdurre una clausola umanitaria di non punibilità prevista, tra l’altro, anche dalla direttiva europea 2002/90/Ce. Questa fornisce una definizione comune di favoreggiamento, ma indica anche una via per tutelare chi presta solo assistenza. Non lo ha voluto fare nessun governo, nemmeno quelli di centro-sinistra.

Del resto la prima formulazione dell’articolo 12 risale proprio a quella parte politica. È il 1998, primo governo Prodi, e la legge porta in calce la firma di due ministri dell’allora Pds: Livia Turco (Solidarietà sociale) e Giorgio Napolitano (Interno). Quattro anni dopo la Bossi-Fini aumenta le pene, specifica le aggravanti, estende il reato all’attraversamento dei confini verso altri Stati, ma sostanzialmente mantiene l’impostazione della norma.

Sarà solo una coincidenza temporale, ma anche la nuova ondata di procedimenti per favoreggiamento contro Ong e attivisti affonda in una stagione di governi di centro-sinistra.

Un punto di svolta è il 2016, quando primo ministro è Matteo Renzi. A quell’anno risalgono l’episodio di Baobab e la maxi inchiesta contro le Ong del Mediterraneo che coinvolge Save the children, Medici senza frontiere e Iuventa. Tra le tante aperte in questi anni contro le navi umanitarie è l’unica che potrebbe andare a processo, l’udienza preliminare è il 21 maggio. Tutte le altre sono state archiviate.