Assedio e cecchini: l’agonia del Nasser Hospital
Gaza A Khan Yunis, in corso l'evacuazione di centinaia di sfollati e pazienti, senza un posto dove andare. Il racconto dei medici: «Hanno chiamato dicendo che dovevamo evacuare, quando le persone hanno iniziato a uscire, i cecchini hanno aperto il fuoco»
Gaza A Khan Yunis, in corso l'evacuazione di centinaia di sfollati e pazienti, senza un posto dove andare. Il racconto dei medici: «Hanno chiamato dicendo che dovevamo evacuare, quando le persone hanno iniziato a uscire, i cecchini hanno aperto il fuoco»
Le immagini hanno iniziato a circolare in tarda mattinata: dopo due settimane di assedio totale, centinaia di palestinesi – pazienti e sfollati – sono usciti dal Nasser Hospital di Khan Yunis, direzione ignota.
Una massa di persone ha camminato lungo l’edificio, stretta a se stessa, in mano bandiere bianche e buste di plastica con qualche avere. Ad aprire la cupa marcia un medico con il camice verde.
L’EVACUAZIONE è stata ordinata dall’esercito israeliano che circonda l’ospedale più grande della città meridionale. Un ordine contraddittorio, ha detto il chirurgo Khaled Aslerr, in un messaggio vocale inviato ai giornalisti all’estero: «Martedì hanno chiamato dicendo che dovevamo evacuare gli sfollati, poi hanno inviato un giovane palestinese da fuori con lo stesso messaggio. Lo hanno ripetuto dallo speaker di un drone. Poi, quando le persone hanno iniziato a uscire nel passaggio sicuro che era stato indicato, i cecchini hanno aperto il fuoco».
Hanno ucciso un 16enne con quattro proiettili, continua Aslerr, e l’ex detenuto usato come messaggero. Un video mostra il giovane mentre riporta l’ordine dell’esercito israeliano, poi compare la foto del suo corpo senza vita.
Bilancio finale, martedì, di otto feriti e due uccisi. E ieri gli spari sono proseguiti. Fino all’apertura del corridoio verso l’ingresso est, quello nord è stato distrutto e sostituito dall’esercito con montagne di sabbia e macerie.
Fuori dal Nasser è comparso un checkpoint militare israeliano – a Gaza non se ne vedevano da decenni – con telecamere a riconoscimento facciale per tracciare ogni palestinese in transito, in vista – probabilmente – di arresti. Sopra volano i droni, poco lontano dai carri armati una voce metallica grida ordini.
Non è chiaro il destino dei 450 pazienti, ricoverati tra feriti curati per terra e centinaia di sfollati addossati alle pareti. Fuori, l’intera area è campo di battaglia, Khan Yunis è da settimane l’ultima linea del fronte, in attesa dell’offensiva su Rafah: gli edifici intorno non esistono più, ci sono cadaveri nel cortile, racconta il giornalista di al Jazeera Hani Mahmoud. Non c’è elettricità, manca l’ossigeno e un incendio ha distrutto quanto restava delle scorte di medicinali.
PER DIRE che succederà ai pazienti serve uno sforzo di immaginazione: fuori ad aspettarli non ci sono ambulanze né piani israeliani per il trasferimento in altre strutture.
Che comunque sono «completamente sopraffatte», ha ripetuto ieri l’Organizzazione mondiale della Sanità: mancano medicinali e anestetici, amputazioni evitabili diventano una necessità e oltre la metà degli aiuti non giungono a destinazione.
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