Economia

Apple consente la censura alle app LGBTQ+ in più di 150 paesi

Apple consente la censura alle app LGBTQ+ in più di 150 paesiL'amministratore delegato di Apple Tim Cook durante una presentazione del 2016 – Marcio Jose Sanchez /Ap - LaPresse

Tecnologie Secondo una ricerca, il gigante di Cupertino penalizza le app del mondo LGBTQ proprio in paesi dove i diritti umani sono a rischio

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 2 luglio 2021

Una mela omofoba, come proprio non te l’aspetti. Una mela comunque subordinata agli omofobi. Anche se negli anni s’era voluta accreditare come quella che “pensa diversamente”, anche se nel giorno dell’ultimo gay pride aveva rivestito il suo marchio coi colori dell’arcobaleno. Sì, marchio, perché si parla di Apple, il colosso che per primo ha superato i duemila miliardi di capitalizzazione. Più esattamente si parla dei suoi store on line, dai quali 1 miliardo di utenti in tutto il mondo compra o scarica le applicazioni per l’iPhone e l’iPad.

Bene, pochi giorni fa, sono stati pubblicati i risultati di un’indagine condotta da due organizzazioni: GreatFire e Fight for the Future, una delle più combattive – e meno istituzionali – associazioni per i diritti digitali.

I dati che ne vengono fuori sono impietosi: negli App Store di 152 paesi sono state cancellate le app pensate e progettate per il mondo LGBTQ+. La mela, la mela di Cupertino, ha tranquillamente avallato le richieste dei governi più arretrati, più reazionari. Più omofobi.

Dato ancora più drammatico: le app che sono state fatte sparire dagli store sono soprattutto quelle dove le minoranze perseguitate possono provare a trovare sostegni, aiuti. Complicità.

Come è stata condotta l’analisi (che è costata molti mesi di ricerche anche in coordinamento con piccoli gruppi locali)? Si è stilato un lungo elenco di tutti i programmi esplicitamente dedicati alle comunitò LGBTQ+. Quest’elenco è stato poi confrontato con quelli dei negozi virtuali della Apple sparsi in tutti – ma proprio tutti tutti – i paesi dei cinque continenti. Per scoprire così che è l’Arabia Saudita il paese col maggior numero di app “non disponibili”. Seguito dalla Cina. Inutile aggiungere, scorrendo i risultati, che i paesi con più app bloccate sono quelli agli ultimi posti nelle graduatorie sui diritti umani.

In questa triste classifica, sei dei primi dieci App Store si trovano nell’Africa sub sahariana. E, appunto, lo si accennava, fra i programmi meno disponibili nel mondo c’è proprio weBelong (non lo si può scaricare in 144 paesi) che serve a cercare community per scambiarsi strumenti di autodifesa.

A conti fatti, dunque – come spiega Evan Greer, direttore di Fight for the Future, musicista, scrittore e attivista transgender di Boston – “sono assai ipocrite le bandiere arcobaleno della Apple. Perché il gruppo aiuta attivamente i governi di tutto il mondo ad isolare, mettere a tacere, a reprimere” le persone non binarie.

Apple, insomma, accetterebbe le censure pur di “continuare a fare affari”. Il gruppo s’è sempre barricato dietro l’affermazione che non fa altro che rispettare le leggi nazionali. Ma neanche questo è vero. Perché ci sono i casi del Niger o della Corea del Sud, dove non esistono leggi contro l’omosessualità, che pure sono ai primi posti fra gli app store più bloccati.

 

Quadranti speciali per il Pride sull’Apple Watch

 

Un portavoce di Apple ha spiegato al manifesto che in molti casi sono gli stessi sviluppatori ad aver deciso autonomamente di non pubblicare le proprie app in alcuni paesi per proprie valutazioni di sicurezza, commerciali o giuridiche. In Cina, ad esempio, il colosso di Cupertino afferma di non aver rimosso alcuna app, ricordando ad esempio che Scruff (una app di dating per soli uomini) è presente sullo store della Repubblica popolare. Inoltre, sempre secondo Apple, in molti casi casi le app vengono rimosse per “specifici motivi legali”, soprattutto in paesi che presentano regole ben definite come ad esempio Francia o Regno unito.

Secondo Utsav Gandhi, invece, uno dei ricercatori che ha elaborato il report, il rispetto delle normative locali sarebbe “un’altra cortina fumogena”. Ancora più grave perché Apple sa bene che non esistono alternative ai suoi negozi virtuali.

Non esistono perché non le permette. E’ dal 2008, infatti, che Apple consente la distribuzione e la vendita di software per iPhone esclusivamente dai suoi store. Tutte le applicazioni prodotte da qualsiasi società o gruppo devono passare dal suo vaglio e soprattutto devono essere vendute nei suoi negozi. Il che ovviamente le garantisce enormi profitti ma soprattutto determina una strozzatura e controllo, rendendo più facile il lavoro per i censori.

Di più: chi ha provato ad aggirare queste limitazioni – saltando gli App Store e provando a distribuire i software dai propri siti Web – ha scoperto che i famosi cellulari della mela sono progettati per limitarne la funzionalità. Per dirne una – ma solo una e restando alle applicazioni delle quali si parla – l’iPhone non consente le notifiche all’utente se il programma non è scaricato dall’App Store di Apple. E stiamo parlando di app che avvertono di eventuali pericoli, che mettono in guardia su minacce. Questa è la situazione, al punto che è attiva da tempo una campagna per chiedere al congresso americano di mettere fine a questo monopolio.

La liberalizzazione degli app store richiede, probabilmente, tempi molto lunghi. Tempi legislativi. Oggi invece c’è un’emergenza. “A chi sceglie di non guardare può sembrare esagerato: ma questa è una questione di vita o di morte per molte persone queer e trans in tutto il mondo, che spesso trovano comunità e sicurezza solo attraverso queste app”, aggiunge ancora Utsav Gandhi. “Ed è inaccettabile che Apple continui questa pratica commerciale, che è fondamentalmente incompatibile con i diritti umani di base e la sicurezza per le persone LGBTQ+”.

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