Corrotto sì, ma con stile. In cambio dei suoi favori il generale Oreste Liporace, comandante dei carabinieri del secondo reggimento allievi, generali e brigadieri di Velletri, in provincia di Roma, non voleva volgare denaro (in realtà sì, anche, 22mila euro circa) ma borse griffate Louis Vitton, bottiglie di Dom Perignon, viaggi in montagna e biglietti per spettacoli e concerti all’Olimpico di Roma e alla Scala di Milano. L’accusa per lui è di corruzione, turbativa e false fatture su un appalto da quasi 700mila euro per servizi di pulizia della caserma affidato, fino al 2021, all’impresa Fabbro, i cui titolari, i fratelli Massimiliano e William, sono indagati. Al centro del sistema, secondo i magistrati, un imprenditore molto vicino al generale, Ennio De Vellis, finito anche lui ai domiciliari, che gestiva appunto il complicato sistema finalizzato ad accaparrarsi le commesse.

L’inchiesta è partita grazie a delle chat trovate sui telefoni dei due fratelli, nell’ambito di un’altra inchiesta, dove i due erano sempre indagati per corruzione, che aveva portato all’arresto di Massimo Hallecker, dipendente di Fiera Milano spa. In quell’occasione vennero a galla i rapporti tra Hallecker, militante di Fratelli d’Italia, e alcuni colonnelli meloniani sul territorio milanese, tra cui Marco Osnato, suo ex socio, pupillo e nipote acquisito di Ignazio La Russa (avendo sposato la figlia del fratello Romano) che alla fine dell’inchiesta fu assolto. L’obiettivo più ambito, scrivono i magistrati, arrivare in Vaticano per ottenere appalti con la Santa sede, in particolare per un bando, poi non concretizzato, in un immobile gestito dai frati francescani. Se il sogno vaticano alla fine non si è realizzato, al di qua del Tevere, negli uffici dei ministeri e di palazzo Chigi, invece il malaffare avrebbe dato i suoi frutti. Liporace, De Vellis e company si sono aggiudicati, nel 2020, un appalto triennale per il servizio di ristorazione presso alcune sedi della presidenza del consiglio, che ha portato nelle tasche degli indagati qualcosa come 15 milioni.

Nelle carte, tra gli iscritti nel registro degli indagati, risulta anche Lorenzo Quinzi, capo del dipartimento degli Affari generali e della digitalizzazione del ministero delle Infrastrutture, accusato di turbata libertà degli incanti. Un alto funzionario ministeriale, non il solo che compare nelle indagini, al vertice del dicastero guidato da Matteo Salvini. Il dirigente del Mit, si legge nell’ordinanza del gip Domenico Santoro, avrebbe interessato «una ditta che conosco», ossia quella dell’imprenditore De Vellis, per la «messa in sicurezza per il pericolo di caduta» di calcinacci dai balconi della sede del ministero.

L’ordinanza riporta anche colloqui intercettati tra Quinzi e De Vellis. Parlando con un uomo «non identificato», lo scorso novembre, Quinzi diceva che avrebbe interessato «una ditta che conosco e gli faccio fare subito questa cosa». E invitava l’interlocutore «ad avvisare il ministro dell’accaduto». Per De Vellis ci sarebbe stato un «affidamento diretto dei lavori con procedura di somma urgenza». Nell’ordinanza anche un capitolo sull’affidamento diretto del servizio di ripristino e restauro dell’orologio del Mit. E poi, sempre negli atti, i rapporti (datati 2023) tra De Vellis e Stefano Adriani anche in relazione a un «servizio di disinfestazione vespe e uno di facchinaggio». Tutto questo dentro le mura del ministero, dicevamo, guidato dal leader della Lega.

Lo stesso che giusto due giorni fa commentava sui suoi social la fuga di Giacomo Bozzoli, l’uomo condannato all’ergastolo per aver ucciso e gettato in una fornace lo zio: «Mentre un governatore eletto due volte dai cittadini liguri è agli arresti domiciliari senza alcuna condanna, un ergastolano è in fuga perché nessuno si è preoccupato di trattenerlo». Chiusura occhieggiando al titolo del libro del suo generale (Vannacci): «È un mondo al contrario». Meno di 24 ore dopo, si ritrova corruzione e malaffare proprio dentro il suo ministero. Dopo quasi l’intera giornata di imbarazzato silenzio, solo in serata ieri è arrivato il commento di Salvini: «Per come lo conosco, è un leale e serio servitore dello Stato che al massimo ha il difetto di essere fin troppo pignolo. L’ho incontrato, sono sicuro potrà dimostrare rapidamente la correttezza delle sue scelte».