La prolungata assenza di un presidente avrà «conseguenze negative per il Libano», ha ammonito ieri dal summit della Lega araba ad Algeri il segretario generale Ahmad Abdul Gheit. All’incontro ha partecipato, con i ministri libanesi per l’energia e per gli esteri, il premier ad interim Mikati che, ringraziando per il supporto offerto dalla Lega per la delicata situazione che attraversa il paese, ha dichiarato: «L’obiettivo è l’elezione di un nuovo presidente prima possibile che unisca e non divida i libanesi».

CON UN GIORNO di anticipo, domenica 30 ottobre, l’89enne Michel Aoun ha lasciato il palazzo di Baabda, sede della presidenza della repubblica, dopo sei anni di mandato, periodo nel quale il Libano ha vissuto una catastrofe dopo l’altra.

Il mandato di Aoun passerà alla storia come quello durante il quale il paese è sprofondato nella sua crisi economica più devastante di sempre: dal 2019 a oggi la situazione non ha fatto che peggiorare: svalutazione della moneta da 1.500 lire a 40mila per un dollaro, inflazione selvaggia, aumento del costo petrolio e quindi dell’energia prodotta quasi interamente a diesel, razionamenti di elettricità consistenti, carenza endemica e strutturale di servizi essenziali.

Una lista molto più lunga in realtà, un effetto domino innescato dallo scoppio della bolla finanziaria che ha congelato i conti in banca, distrutto la borghesia e creato nuove fasce di povertà assoluta e multidimensionale, oltre a creare la più massiccia ondata migratoria dai tempi della guerra civile (1975-90).

Un sistema totalmente privatizzato e basato sul terziario, incapace di qualunque risposta alla crisi. Un periodo in cui, come una beffa, si sono inseriti il Covid, un’emergenza sanitaria strutturale e l’esplosione del 4 agosto 2020 al porto che ha distrutto mezza Beirut, ucciso oltre 200 persone, ferito 7mila e creato 300mila sfollati, il cui processo per stabilirne le responsabilità sembra essersi arenato. E ancora un’epidemia di colera scoppiata nella vicina Siria e che in queste ore sta preoccupando anche il Libano.

TORNATO IN PATRIA dall’esilio in Francia nel 2005 in seguito all’assassinio dell’allora primo ministro Rafiq Hariri, Michel Aoun era stato il pilastro del movimento 14 marzo, che contrastava l’asse pro-Assad con in testa Hezbollah (movimento 8 marzo).

Era nato in seguito alla rivoluzione dei Cedri che manifestava il dissenso per l’occupazione di fatto dell’esercito siriano che, protagonista durante la guerra civile, non aveva abbandonato il paese confinante alla fine delle ostilità.

Aoun, generale dell’esercito, aveva dichiarato il 14 marzo 1989 la Guerra di Liberazione dalla Siria e aveva rifiutato gli accordi di Ta’if, che sancivano la fine della guerra civile. Si era quindi scontrato anche con le Forze libanesi cristiane di Geagea. Fu questo uno dei periodi più cruenti dell’intera guerra civile. Sconfitto da Hafiz Assad, trovò asilo in Francia, dove fondò il suo Movimento patriottico libero, ora capeggiato dal genero Bassil.

NEL 2006 CAMBIA fronte e abbraccia il movimento 8 marzo, si riconcilia con Damasco e con Hezbollah, accetta Saad Hariri premier, si riconcilia con Geagea e nel 2016 diventa presidente della repubblica.

Il Libano è un sistema di potere multicentrico, dove gli interessi sono tanti e diversificati e l’elezione del presidente, come quella del premier, è una spartizione vera e propria. Ci erano voluti oltre due anni per trovare un accordo prima di convergere su Aoun. Ma adesso tutto questo tempo non c’è.