Antisemitismo, la definizione dell’Ihra limita il pensiero critico
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Antisemitismo, la definizione dell’Ihra limita il pensiero critico

Commenti È stato appena pubblicato il rapporto prodotto dalla British Society for Middle Eastern Studies (Brismes) e dallo European Legal Support Center (Elcs) a proposito dell’impatto della definizione di antisemitismo dell’International […]
Pubblicato circa un anno faEdizione del 14 settembre 2023

È stato appena pubblicato il rapporto prodotto dalla British Society for Middle Eastern Studies (Brismes) e dallo European Legal Support Center (Elcs) a proposito dell’impatto della definizione di antisemitismo dell’International Holocaust Remembrance Alliance (Ihra) sulla libertà accademica e di parola nelle università britanniche. Analizza 40 casi denunciati a Elcs nel periodo compreso fra 2017 e 2022. Di questi, 24 riguardano docenti, 9 studenti e 7 associazioni studentesche. A parte due casi in cui non è stata ancora raggiunta una decisione definitiva, le accuse di antisemitismo sono state ritenute prive di fondamento al termine dei procedimenti disciplinari.

Per capire di cosa si sta parlando occorre ricordare alcuni punti fondamentali.

L’antisemitismo è un fenomeno presente, pericoloso e diffuso, anche in ambito universitario, nel Regno Unito così come in Italia.
La definizione di antisemitismo dell’Ihra (del 2016) è formata da un testo base e da 11 esempi, di cui 7 provano a chiarire quando le critiche a Israele e al sionismo sconfinano nell’antisemitismo. Sulla base di questi esempi sono stati accusati di antisemitismo i sostenitori del movimento Bds, la relatrice speciale dell’Onu per i territori palestinesi occupati Francesca Albanese, Amnesty International per avere accusato Israele di aver instaurato un regime di apartheid, e la lista sarebbe lunga. Questo perché, come chiarisce il rapporto Brismes, attraverso gli esempi la definizione identifica lo Stato di Israele nella sua attuale configurazione come l’unico esito possibile del diritto all’autodeterminazione ebraica. Da questa premessa deriva che (quasi) ogni difesa dei diritti dei palestinesi rischia di incorrere in un’accusa di antisemitismo.

La definizione Ihra è stata adottata da 43 paesi compresa l’Italia (seduta del Consiglio dei Ministri del 17 gennaio 2020), sostenuta dal Parlamento europeo già dal 2017 e più recentemente con la pubblicazione dello Handbook for the practical use of the IHRA Working Definition of Antisemitism nel 2021. Istituzioni e associazioni pubbliche e private, ordini professionali, università hanno seguito la stessa strada. La definizione non è giuridicamente vincolante – non ha quindi forza di legge -, ma questo status giuridico indeterminato non vuol dire che non sia influente.

Il governo britannico ha adottato ufficialmente la definizione nel dicembre 2016 e nel 2020 l’allora Education Secretary ha ingiunto alle università di fare lo stesso pena la minaccia di un taglio ai finanziamenti.

Aspettavo il rapporto con particolare interesse perché University College London, l’università presso la quale ho lavorato dal 2014 al 2020 prima di rientrare in Italia, ha adottato la definizione nel 2019 (senza consultare preliminarmente il corpo docente). In seguito a questa decisione l’Academic Board di cui anch’io facevo parte ha nominato un gruppo di lavoro perché analizzasse la definizione, il suo potenziale impatto negativo sulla libertà di espressione e di insegnamento, la sua efficacia nella lotta all’antisemitismo. Il rapporto che ne è derivato (febbraio 2022) esprimeva un parere molto critico sulla definizione Ihra e raccomandava che l’università adottasse non una, ma una serie di definizioni di antisemitismo (fra le quali la Jerusalem Declaration on Antisemitism, Jda) da usare a scopi educativi e non come strumento per monitorare e sanzionare idee, persone o eventi. Il Council, organismo direttivo dell’università composto prevalentemente da non accademici, ha ritenuto di non seguire questa raccomandazione e di mantenere il testo Ihra (marzo 2023).

Il rapporto Brismes/Elcs mette in evidenza molto bene una criticità in particolare. Nonostante nessuno dei casi analizzati abbia portato a una sanzione disciplinare – a una condanna, per dirla in modo semplice – le accuse di antisemitismo formulate sulla base della definizione Ihra hanno compromesso la possibilità di affrontare, in sede di ricerca ma forse ancor più di didattica, una serie di temi legati alla situazione in Israele Palestina. Temi scomodi, come la natura delle azioni israeliane nei territori occupati, la legittimità dell’occupazione, i diritti (negati) ai palestinesi e via dicendo. Esiste un rischio molto concreto che questo clima induca docenti e studenti all’autocensura preventiva, il che di per sé rappresenta un limite grave alla libertà di insegnamento e di espressione e colpisce la principale funzione delle università, che dovrebbero ospitare e incoraggiare il pensiero critico e offrire strumenti complessi per affrontare argomenti scomodi e divisivi, non insegnare a evitarli.

Il fatto che in questi casi le accuse siano risultate infondate induce anche a riflettere sul fatto che la definizione Ihra non sia uno strumento efficace per combattere le manifestazioni di antisemitismo che purtroppo sono reali e presenti.

*Docente dell’Università di Pisa

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