Sono pronti a costituirsi, ma solo a patto che non vengano consegnati all’Ungheria. È questa la trattativa che alcuni dei 9 antifascisti tedeschi attualmente latitanti stanno provano a instaurare con la procura di Dresda, che indaga su di loro sia per alcuni episodi avvenuti in Germania sia per gli scontri con i neonazisti di un anno fa a Budapest, gli stessi per i quali Ilaria Salis è prigioniera in Ungheria e rischia una condanna ad almeno 11 anni. «Non voglio commentare le accuse. Non spetta a me farlo – ha detto la madre di un ricercato in un’intervista rilasciata alla Mdr, televisione pubblica della Sassonia e della Turingia -. Come genitori crediamo che questi giovani, come tutte le altre persone, abbiano diritto ad un procedimento giudiziario e, in caso di condanna, a condizioni carcerarie umane».

Cosa che il caso Salis ha dimostrato non essere possibile in Ungheria: dalle tante lettere inviate dall’italiana in cui si descrive una situazione detentiva impressionante fino alle sue foto mentre entra in tribunale in catene, dettaglio che ha scandalizzato mezzo mondo. La procura di Dresda è a conoscenza della volontà degli Antifa, ma, a quanto riferiscono gli avvocati, sin qui non ha preso alcun impegno, limitandosi a dire che la faccenda verrà discussa solo dopo che i fuggiaschi si saranno consegnati. «Vale la presunzione di innocenza – è il commento di un altro genitore -. Non posso pretendere né voglio che qualcuno confessi qualcosa. Quello che è successo deve essere accertato in un processo costituzionale». In passato, ad esempio, la Germania ha negato alcune consegne a paesi europei come la Gran Bretagna, la Romania e anche la stessa Ungheria. Il problema, comunque, non è che il rischio esista in astratto, ma dimostrare che sia concreto: per questo motivo gli Antifa tedeschi citano il caso di Ilaria Salis, cioè una testimonianza circostanziata (e documentata) di quanto la giustizia magiara possa essere un pericolo per chi si trovi a fronteggiarla. Anche il caso di Gabriele Marchesi, con la Corte di Appello di Milano che ha sospeso la sua consegna a Budapest, rientra in questo quadro: i giudici, infatti, hanno affermato che è lecito sospettare che in Ungheria si venga sottoposti a misure equiparabili alla tortura.

INTANTO a Budapest la famiglia di Ilaria Salis è in cerca di un appartamento da affittare per poi chiedere gli arresti domiciliari. Un percorso accidentato: oltre a un domicilio, per provare a ottenere una misura alternativa al carcere, i Salis dovranno anche presentare un’offerta di cauzione e la cifra ipotizzata dagli avvocati ungheresi si aggira intorno ai 50mila euro. La linea è quella tratteggiata dal governo italiano: prima ottenere i domiciliari a Budapest e poi chiedere il trasferimento a Milano. Questo nonostante diverse interpretazioni dell’accordo europeo del 2009 sul reciproco riconoscimento delle misure cautelari tra paesi comunitari parlino della possibilità di ottenere il rientro in patria senza passaggi intermedi. Anche perché, fuori dal carcere a Budapest, la sicurezza di Ilaria Salis sarebbe a rischio: i neonazisti le hanno giurato vendetta. A lei come agli antifascisti tedeschi, chenon sono ricercati solo dalle polizie di Germania e Ungheria, ma anche dai militanti dell’estrema destra di tutta l’Europa, che sui social e nelle chat si scambiano foto segnaletiche e informazioni personali.