Domani decine di migliaia di dipendenti pubblici palestinesi riceveranno lo stipendio e una porzione di quelli arretrati. Lo ha comunicato il ministero delle finanze dell’Autorità nazionale palestinese. Non tutta la mensilità, l’80%. Non è la prima volta che non ricevono lo stipendio intero. Il pubblico impiego palestinese fa i conti da lungo tempo con le casse semivuote dell’Anp. Per questo ha perduto l’appeal che aveva fino a qualche anno fa quando un semplice impiegato grazie al suo stipendio fisso poteva beneficiare di non pochi privilegi come accendere un mutuo con una banca. Oggi ben pochi possono permetterselo. Lo stipendio arriva a singhiozzo ed è rimasto, più o meno, quello di dieci anni fa con un costo della vita ormai alle stelle. Nei prossimi mesi le cose con ogni probabilità andranno molto peggio per i dipendenti pubblici palestinesi.

Il nuovo gabinetto israeliano per la politica di sicurezza presieduto dal premier Netanyahu giovedì ha approvato sanzioni pesanti contro l’Anp in risposta al suo ricorso alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia chiamata ad esprimere un parere sulla «legalità» dell’occupazione militare israeliana di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est. Misure di natura finanziaria, tra le più devastanti per il governo palestinese. Il fatto che a capo del ministero delle finanze israeliano ci sia un ministro di estrema di destra, Bezalel Smotrich, con poteri aggiuntivi per la gestione della Cisgiordania occupata, ha fatto presagire sin da subito problemi seri per l’Anp e tutti i palestinesi. E sono puntualmente arrivati. Israele, si è appreso, trasferirà 139 milioni di shekel (37 milioni di euro) dai fondi palestinesi che raccoglie per conto dell’Anp ai conti bancari delle famiglie israeliane vittime di attacchi e attentati.

Come è già avvenuto in passato defalcherà anche da tasse, imposte e dazi doganali dell’Anp, derivanti da transazioni economiche e commerciali da e per i territori palestinesi – intorno ai 150 milioni di euro al mese –, la quota che corrisponde ai sussidi che il governo palestinese versa alle famiglie dei prigionieri politici in carcere in Israele (oltre 5mila) e dei «martiri», ossia i morti o gli uccisi per la causa nazionale. Oltre a ciò, il governo Netanyahu colpirà associazioni e ong palestinesi impegnate nei procedimenti legali internazionali contro Israele e congelerà i progetti edilizi dell’Anp nell’Area C (il 60% della Cisgiordania) dove Israele, dalla firma degli Accordi di Oslo, esercita «temporaneamente» da trent’anni il controllo esclusivo del territorio. Infine, saranno ritirati i permessi Vip che consentono ai dirigenti dell’Anp di superare i posti di blocco militari e di entrare in Israele.

«I passi che abbiamo deciso di intraprendere si concentrano principalmente sulla leadership dell’Autorità nazionale palestinese e non sulla popolazione in generale», ha affermato un funzionario israeliano citato dal sito d’informazione Walla.  Invece le sanzioni vanno a colpire proprio la popolazione visto che decine di migliaia di famiglie palestinesi rischiano di rimanere senza sostentamento. Riunendo giovedì sera il comitato centrale del suo partito, Fatah, il presidente dell’Anp Abu Mazen ha reagito affermando che i palestinesi non cederanno ad alcun ricatto e «continueranno a prendere tutte le misure legali che la legittimità internazionale consente per rispondere alle azioni del governo israeliano iniziate con l’assalto (del ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir) alla moschea di Al Aqsa». Le ultime sanzioni economiche israeliane, avvertono alcuni analisti palestinesi, sono potrebbero causare il crollo dell’Anp già debole e priva di consenso.