L’ultimo saluto Angela lo ha ricevuto in una chiesa di frontiera durante un afoso sabato di fine aprile, al quindicesimo chilometro della Casilina, dove l’antica strada romana si dirama in piccoli vie laterali che si tuffano nella campagna, tra edifici a più piani, case nascoste e piccoli villini.

SONO VENUTI in tanti, familiari, amiche, amici e tante compagne e compagni a salutarla e a stringersi intorno al marito Enzo Naso e alla figlia Chiara. Tanti conoscenti e lettori, insieme a tanti vecchi compagni del collettivo che hanno condiviso con lei un pezzo di vita e di storia in quella che è stata la redazione storica de il manifesto in via Tomacelli e anche nella nuova sede di Via Bargoni. C’erano Maria Delfina Bonada, moglie e compagna di una vita di Valentino Parlato e la figlia Valentina tra i tanti volti assiepati nella chiesa dove arrivava il feretro. Subito accolto dalle parole che un emozionato Enzo ha affidato alla figlia Chiara: «Dirò semplicemente che Angela è stata una persona non comune, in questi giorni ho letto cento aggettivi su di lei. A parte gli elogiativi, ricordo quelli che più le si attagliano: coerente, rigorosa, tenace, reale, contaminante, lascia in tutti noi un vuoto struggente, incolmabile, un dolore inconsolabile. Gli ultimi due anni sono stati durissimi, intensissimi e a loro modo bellissimi e di progressiva simbiosi, senza la tenacia di Angela sarebbero durati poche settimane. Il destino – ha continuato – ha trattato Angela come un fiore, sotto i miei occhi solo in parte consapevoli le ha strappato un petalo alla volta fino all’ultimo respiro». E poi l’ha ricordata con un testo scelto da lui e Angela diversi anni fa per commemorare la madre di Enzo: «Volevamo – ha sottolineato – fosse innanzitutto laico e neanche vagamente religioso, come Angela».

PAROLE evocative, riprese da un antico canto navajo: «Non rimanere a piangere sulla mia tomba, io non sono lì, io non dormo io sono in mille venti che soffiano. Io sono le stille di neve che luccicano, io sono il sole che colora il grano, io sono la lieve pioggia d’autunno. Quando ti svegli nel silenzio del mattino io sono l’incessante e quieto roteare degli uccellini. Io sono il delicato luccicare delle stelle nella notte, non rimanere a piangere sulla mia tomba. Io non sono lì, io non sono morta».

IL VIRUS della curiosità e della competenza, dello studio necessario per chi sente l’impegno politico, la coscienza e il rispetto per l’altro, nelle parole di Don Carlo Stanzian nella commemorazione: «A me personalmente un elemento della sua coscienza ha toccato in profondità, il rispetto e l’attenzione che lei ha sempre avuto per la persona umana. La sua capacità di ascoltare e di entrare nella vita degli altri sempre sottovoce, perché Angela non entrava nella vita degli altri se gli altri non le davano spazi. E questa sua attenzione profonda per la persona l’ha portata poi a combattere per la dignità di ognuno. Durante i nostri incontri in clinica parlavamo di filosofia: noi siamo stati abituati a vedere la sfera come luogo della perfezione, perché nella sfera ogni punto è equamente distante dal centro. Invece lei la ritrovava nel poliedro, perché quante più sfaccettature noi riusciamo a mettere insieme nella vita tanto più la rendiamo preziosa».

IERI su queste pagine Sandro Medici accennava al suo essere anche «allegra, ironica e beffarda», il nipote Massimiliano ha condiviso a fine cerimonia la stessa memoria: «Lunghi pranzi quando venivo a via Tomacelli a trovarla, dei cinema indimenticabili e della mitica doppia, due film nella stessa serata. E dell’orgoglio, durante i miei anni di pseudo attivismo politico, di portarti come ospite nell’assemblea della mia scuola». Addio Angela.