Per il Pd ci sono stati «passi avanti per l’intesa». Per la coppia di testa della lista Si-Verdi, Fratoianni e Bonelli, si è registrata «la forte volontà di Letta di raggiungere l’intesa e rendere l’alleanza con noi centrale».

Ma la situazione, dopo un’ora e mezzo di faccia a faccia tra i due leader di Europa Verde e il segretario del Pd, non si è sbloccata.

Il prossimo round, che si concluderà con la scelta definitiva di Si e Verdi, entro 24-48 ore. Qualche nodo è sciolto, qualche altro proprio no e dai piani alti del Nazareno valutano l’incontro come «andato non benissimo».

FRATOIANNI e Bonelli sono arrivati con un documento in 9 punti considerati imprescindibili sui quali stringere con Letta un patto parallelo a quello firmato dal segretario con Calenda. Ma anche con la richiesta di «pari dignità» nella divisione dei collegi: rivendicazione pesante trattandosi del 30% dei collegi per loro candidati, tanti quanti ne spettano all’Azione di Calenda.

Eppure lo scoglio più insidioso non sono i collegi ma l’equilibrio politico.

Al primo posto nel documento di Ev c’è la politica energetica: no secco al nucleare, più rinnovabili e meno rigassificatori. Un dito nell’occhio di Calenda.

Poi un secco rifiuto dell’agenda Draghi, ribadito anche da Fratoianni all’uscita dal vertice. Per Letta, che mira a stringere due patti paralleli con la sinistra e con Calenda ma che ha messo al centro dell’accordo con Azione e +Europa proprio la centralità di quell’agenda, è un rebus di difficilissima risoluzione. Anche perché sa che in caso di toni ambigui il capo centrista è prontissimo a tornare all’attacco.

IN REALTÀ i due leader arrivano all’incontro con disposizione d’animo meno agguerrita di quanto non appaia in pubblico ma, soprattutto Fratoianni, sapendo di avere dietro un partito vicino alla rivolta.

In mattinata il leader di Si ha parlato con Conte, ha constatato che la disponibilità all’alleanza da parte dei 5S, considerata incerta sino all’ultimo date la proverbiale indecisione dell’avvocato e la tutela di Grillo, è invece concreta. Sul piatto della bilancia opposto alla creazione di un fronte M5S-Si ci sono però argomentazioni molto pesanti.

I Verdi sarebbero contrari, i rapporti tra Conte e Bonelli non sono affatto tra i migliori, l’eventualità di una rottura del cartello di Europa Verde è considerata dunque da Si del tutto realistica.

Nicola Fratoianni e Enrico Letta foto di Riccardo Antimiani/Ansa
Nicola Fratoianni e Enrico Letta foto di Riccardo Antimiani/Ansa

A quel punto l’obiettivo del 3% si allontanerebbe di molto. Senza contare le voci ormai ricorrenti sulla tentazione di Conte, peraltro ancora indeciso come d’abitudine, di dare il semaforo verde a una lista composta da personalità della società civile e anche politica provenienti dalla sinistra, con la quale coalizzarsi.

Nei collegi uninominali sarebbe una mano santa per i 5S, le cui regole impediranno altrimenti di mettere in campo figure di richiamo. Ma per una Si eventualmente alleata di Conte sarebbe invece una notizia nefasta, perché limiterebbe ulteriormente le possibilità di oltrepassare la soglia di sbarramento.

Nicola Fratoianni
L’idea di un’alleanza che veda al centro l’Agenda Draghi è per noi impraticabile. E le intese, con altre forze, non possono essere vincolanti

DAI VERTICI di Sinistra italiana giurano che sulla propensione a confermare l’alleanza con Letta, nonostante sia diventata qualcosa di molto diverso da quanto era stato concordato, non pesa il ricatto del favore ricevuto dal gruppo di LeU, cioè di Art. 1, alla Camera: quella aggiunta della dicitura «Sinistra italiana» al nome del gruppo che, insieme all’inserimento nel logo di Si di un altro simbolino piccolo piccolo con scritto sopra LeU, permette di sottrarsi all’ordalia disperata della raccolta delle firme.

È vero che, in caso di ripensamento anche Art. 1 potrebbe fare un passo indietro. In fondo cinque suoi esponenti saranno presenti nel listone del Pd «Democratici e Progressisti» (certamente Speranza, Cecilia Guerra e Arturo Scotto, ancora in forse gli altri due, comunque un uomo e una donna).

Ma è anche vero che a camere chiuse, dunque da domani, il cambio di nome sarà impossibile sino alla riapertura dopo la pausa estiva e a quel punto è probabile, però non certo, che le cose siano andate troppo avanti per cambiare nome al gruppo.

ANCHE LETTA è pronto a molto pur di evitare la disgregazione della raccogliticcia alleanza con la quale ha dovuto sostituire in corsa il progetto di centrosinistra che il Pd aveva costruito con il M5S: «Cerco di mettere insieme tutti perché so cosa è la destra di Meloni e Salvini». Senza spiegare perché il muro antidestra debba però fare a meno del mattone principale dopo il Pd, quei 5S con i quali il Nazareno era andato sin troppo d’amore e d’accordo per tre anni.

SI AFFIDERÀ la decisione a una consultazione interna. In realtà le probabilità che l’accordo in qualche modo passi sono elevatissime. Ma lo spettro che si profila non è solo quello di arrivare allo scontro con un fronte diviso.

Con gli umori che circolano la campagna elettorale rischia di trasformarsi in un duello all’ultimo sangue non con la destra ma fra gli alleati per caso della coalizione di Letta. Non sarebbe un disastro. Sarebbe peggio.