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Ana María Shua, microfinzioni nella intercapedine tra sogno e veglia

Ana María Shua, microfinzioni nella intercapedine tra sogno e vegliaGuillermo Kuitca dalla serie «Nadie olvida nada», 1982

Scrittrici argentine «La sonnolenza», da pièdimosca edizioni

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 19 novembre 2023

«Chiocciola del linguaggio, fratello misterioso della poesia»: così Julio Cortázar definì il racconto breve durante una celebre conferenza che tenne nel 1962 a L’Avana, ospite della Casa de las Américas. Anche il racconto brevissimo, o microfinzione, già frequentato dai maestri novecenteschi del fantastico rioplatense e invigorito, nel corso dei decenni, dall’infittirsi della schiera dei suoi cultori, trova nella segretezza e nell’intensità i suoi tratti distintivi.

Forma antisolenne dell’espressione letteraria, apprezzata in area ispanoamericana come genere autonomo dall’accento ironico e dal tono spesso venato di umorismo, la microfinzione fa della concisione virtù, giocandosi il tutto per tutto in poche righe. La regola è quella della brevità estrema, per questo motivo gli anglofoni la chiamano flash fiction: se la «seduta» indicata da Edgar Allan Poe è l’unità di misura per la lettura di un racconto, il suo equivalente per il microracconto è il battito di palpebra.

Il nome di Ana María Shua (Buenos Aires, 1951) è noto tra gli estimatori della narrativa brevissima d’oltreoceano. La sonnolenza, tradotto da Loris Tassi (pièdimosca edizioni, pp. 264, € 14,00), è il suo primo libro di microfinzioni, pubblicato in Argentina nel 1984. In Italia, una di queste «piccole feroci creature» notturne senza titolo, generate «dalla foresta dell’insonnia» e numerate in ordine crescente, fece capolino tra le pagine dell’antologia Bagliori estremi. Microfinzioni argentine contemporanee, a cura di Anna Boccuti (Edizioni Arcoiris, 2012).

Le duecentocinquanta microstorie che compongono La sonnolenza – «immagini che nascondo dietro le palpebre» – sono elementi di un’unica narrazione la cui compiutezza risiede nelle variazioni di fenomeni fantastici che rendono la quotidianità fonte di spaventi e meraviglie. Shua gioca con la parola sueño, nella doppia accezione, in spagnolo, di sonno e sogno. L’insonnia – sorella spietata della sonnolenza – è intesa in queste pagine come un disturbo sensoriale che altera la logica abituale del vivere, aprendo possibilità all’invenzione.

Nel dissolversi del confine tra il sonno e la veglia, dove le deduzioni e le usuali analogie cedono rigo dopo rigo – mentre una Commissione di funzionari gestisce gli incubi, le poltrone seducono chi vi si siede sopra e le tubature casalinghe si aggiustano soltanto invertendo il proprio corso verso il Río de la Plata – un’impressione di levità accompagna gli imprevisti domestici con cui Ana María Shua mette alla prova il nostro senso pratico, nonché i rapporti consueti con la realtà circostante: «presto o tardi suonerà la sveglia».

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