Italia

«Ambiente svenduto», tutto cancellato

Lo stabilimento Ilva visto dai tetti del quartiere Tamburi di Taranto - Foto AnsaLo stabilimento Ilva visto dai tetti del quartiere Tamburi di Taranto – Ansa

Taranto Per la Corte di appello i giudici erano «parti offese», spostato il processo a Potenza. La rabbia della città: ci hanno uccisi. Nel 2021 condanne per associazione a delinquere ai Riva e sequestro dell’acciaieria

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 14 settembre 2024

Annullato il processo «Ambiente svenduto» sulle emissioni velenose dell’ex Ilva. L’inchiesta della procura ionica, che in primo grado nel maggio 2021 aveva portato a emettere una condanna per concorso in associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all’avvelenamento di sostanze alimentari, all’omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro per ventisei imputati tra manager, classe dirigente locale e funzionari d’azienda, è tutta da rifare.

Cancellati, inoltre, circa 270 anni di carcere totali, la confisca degli impianti dell’area a caldo sottoposti a sequestro nel 2012 e le tre società in quota Riva, Ilva spa, Riva fire e Riva Forni Elettrici.

«I GIUDICI TARANTINI che hanno emesso la sentenza di primo grado sono da considerare come parti offese del disastro ambientale. Sono vittime dello stesso reato che sono stati chiamati a giudicare, e quindi inserite in un contesto non sereno per il giudizio, vivendo gli stessi nei quartieri delle parti lese». Questa la richiesta, già avanzata in primo grado ma respinta dal collegio della Corte d’Assise, dei difensori di Fabio e Nicola Riva, precedenti proprietari e gestori degli impianti ex Ilva, Salvatore Capogrosso, ex direttore dello stabilimento tarantino, Adolfo Buffo ex dirigent. La Corte, presieduta dal giudice Antonio Del Coco, affiancato dal giudice Ugo Bassi e dalla giuria popolare, una volta pronunciatasi per l’accoglimento, ha disposto il trasferimento degli atti alla Procura di Potenza e con essi il trasferimento del processo. Le motivazioni, prima di avviare l’iter per il passaggio delle competenze alla Procura lucana, saranno depositate entro un paio di settimane.

«È STATA ACCOLTA LA TESI che avevo presentato dieci anni fa, lo avevamo detto subito che quel processo doveva essere celebrato a Potenza. In sei mesi poteva ripartire invece abbiamo perso dieci anni», ha commentato Pasquale Annichiarico, avvocato del pool difensivo dei Riva, commentando la decisione della sezione distaccata ionica.

La disposizione di trasferimento degli atti, è avvenuta nonostante in Corte d’appello i pubblici ministeri Raffaele Graziano e Giovanna Cannarile, i legali delle parti civili e il procuratore generale Mario Barruffa, abbiano sottolineato che la Cassazione (grado di giudizio superiore rispetto all’Appello), solo recentemente ha emesso una sentenza nella quale chiarisce che è da considerare parte di un processo chi sceglie di attivare un’azione di diritto. «Nessuno dei magistrati di Taranto lo ha fatto e quindi, non essendo parte del procedimento penale, non vi sono i presupposti perché il processo venga spostato».

A dir la verità, già nei mesi scorsi, il presidente Del Coco dichiarò: «La decisione di primo grado annovera numerose criticità, la nozione di danneggiato dal reato è stata estesa in maniera pressoché illimitata», sospendendo il pagamento delle provvisionali disposto in favore delle parti civili costituite in giudizio. Allora, i risarcimenti, dell’entità di 5mila euro ciascuno, mostravano secondo il giudice «la mancanza di qualsiasi motivazione del provvedimento di liquidazione, in ordine all’indicazione della categoria di danno e delle somme ritenute oggetto di accertamento».

L’ASSOCIAZIONE PEACELINK, assistendo con sgomento al verdetto in secondo grado, ha sottolineato un’ulteriore minaccia. «Lo spettro dell’impunità incombe sul processo Ambiente Svenduto. Lo spostamento del processo comporta, oltre all’annullamento del primo grado, un allungamento dei tempi della giustizia. Il rischio concreto è quello della prescrizione per reati gravissimi come la concussione e l’omicidio colposo».

«È evidente che non si può delegare alla magistratura un compito che è squisitamente politico ma oggi la Corte d’assise d’appello di Taranto, con la sua decisione, ha ammazzato Taranto un’altra volta. Nessuna giustizia per i nostri morti», hanno dichiarato laconici alcuni portavoce del comitato dei Cittadini e lavoratori liberi e pensanti.

Il complesso iter giudiziario che da lungo tempo vede protagonista lo stabilimento ex Ilva di Taranto, che in queste ore vede smantellare le indagini e il processo che portarono al commissariamento dell’azienda stessa, si inserisce puntuale in un contesto ancora più particolare. Venerdì 20 settembre scadrà il termine per la consegna formale delle manifestazioni di interesse per i singoli rami d’azienda o gli interi impianti, in vendita dal 31 luglio. Successivamente, il 24 ottobre, il Tribunale di Milano emetterà la sentenza sull’azione inibitoria contro l’ex Ilva presentata da 11 cittadini aderenti all’associazione Genitori Tarantini tra cui un bambino di 11 anni affetto da una rara mutazione genetica. Dopo la trasmissione degli atti alla Corte di Giustizia Europea, seconda la quale «se in presenza di pericoli gravi per l’ambiente e la salute umana l’attività dell’ex Ilva deve essere sospesa», è atteso il verdetto dei giudici del capoluogo lombardo.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.



I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento