Il Decreto Agricoltura, all’articolo 5 è tranchant: l’installazione degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra in zone classificate agricole dai piani urbanistici vigenti non è consentita, se non per programmi riguardanti le Comunità Energetiche o i progetti Pnrr.

Gli operatori delle rinnovabili italiane hanno subito contrastato questa decisione, inutile e pericolosa: sono a rischio i finanziamenti in energia verde e gli obiettivi del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima di realizzare 80 GW di rinnovabili al 2030, perché, di fatto, viene meno il contributo fondamentale del fotovoltaico a terra. Si parla infatti di almeno 40 dei 55 GW previsti per il fotovoltaico, che attraverso gli impianti a terra possono rappresentare una risorsa per l’utilizzo dei terreni abbandonati, una quantità pari a circa 4,2 milioni di ettari su una superficie agricola totale italiana di 16,6 milioni di ettari.

La quantità di terreno che l’agricoltura perde cresce, infatti, al ritmo di 125mila ettari ogni anno, tre volte la superficie richiesta per i nuovi impianti; una perdita costante che vede tra le sue cause, in un fenomeno di retroazione negativa, proprio gli effetti dei cambiamenti climatici.
Gli ettari previsti per l’installazione dei nuovi impianti a terra corrispondono a circa il 2,5% delle superfici agricole non utilizzate e solo allo 0,4% delle aree coltivate.

In questi giorni si sta discutendo di una bozza, ritenuta sufficientemente attendibile, del decreto che impone alle Regioni la definizione delle Aree Idonee alla realizzazione di impianti rinnovabili, un decreto di prossima approvazione in Conferenza Stato-Regioni. Nelle sue premesse viene ribadito di voler realizzare gli 80 GW del PNIEC, ma poi sulla base di un generico “principio della minimizzazione degli impatti sull’ambiente” si introduce una limitazione al cosiddetto solar belt del DL 17/22 sulle semplificazioni delle autorizzazioni delle fonti rinnovabili.

Il solar belt si riferisce alla idoneità di alcune aree, tra le quali quelle situate entro 300 metri da zone a destinazione industriale, artigianale e commerciale, compresi i siti di interesse nazionale, nonché le stesse aree interne agli impianti industriali e agli stabilimenti. Si introducono invece vincoli più restrittivi aumentando la distanza di rispetto a 500 metri dai beni paesaggistici o culturali per il fotovoltaico o a 3 chilometri per l’eolico, con la possibilità da parte delle Regioni di estendere tali divieti fino a sette km!

Con questa modifica sostanziale di fatto alle Regioni viene data la facoltà di escludere gran parte del proprio territorio per le aree idonee, considerando anche che le aree industriali e commerciali in molti casi sono a loro volta sottoposte a vincolo paesaggistico. Si fa presente l’importanza che dovrebbero invece svolgere le aree idonee in un processo di semplificazione fondamentale per la lotta al cambiamento climatico attraverso la realizzazione di impianti rinnovabili. In queste aree infatti viene previsto uno snellimento delle procedure burocratiche e un parere per l’autorizzazione paesaggistica obbligatorio ma non vincolante. Tutto questo in un quadro dove si fa riferimento alla suddivisione degli 80 GW per le varie Regioni, con obblighi perentori, pena l’intervento del Consiglio dei Ministri in caso di non ottenimento dei risultati.

Infine, se da un lato si impongono alle Regioni gli obiettivi del PNIEC, dall’altro viene lasciata loro troppa libertà per la definizione delle aree per gli impianti che quelle Regioni dovranno realizzare, con il rischio di ottenere un quadro complessivo in cui venti Regioni adottino venti criteri diversi con evidente confusione ed inefficienza generale. Ci saranno Regioni di serie A e Regioni di serie B, senza per forza evocare l’autonomia differenziata! Si spera in un ripensamento di buon senso da parte del legislatore, facendo chiarezza soprattutto verso la coerenza tra i due dispositivi, Aree Idonee ed Agricoltura. In particolare, la versione definitiva del decreto sulle Aree Idonee dovrebbe prevedere la cancellazione dei divieti presenti nel decreto Agricoltura prima della sua conversione in legge il 15 luglio prossimo. Oltretutto, si sta parlando di decreti complessi, molto articolati e con il riferimento a tante norme diverse: un po’ di semplificazione non guasterebbe.