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Ambasciata russa, in 400 contro l’invasione di Putin

Ambasciata russa, in 400 contro l’invasione di PutinIl presidio – Giansandro Merli

Guerra In piazza anche Letta e diversi parlamentari. La pace? Il ritiro completo di Mosca

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 14 ottobre 2022

Circa 400 persone hanno manifestato ieri a Roma, nei pressi dell’ambasciata russa. In un angolo di fronte alla Biblioteca nazionale diverse bandiere ucraine, alcune bielorusse, tre dell’Unione europea e una della pace. Il presidio è stato convocato dopo i bombardamenti ordinati da Putin il 10 ottobre scorso, contro città e civili, da tre associazioni: Mean (Movimento europeo azione non violenta), Base Italia (dell’ex sindacalista Cisl Marco Bentivogli) e Liberi Oltre.

L’iniziativa ha ricevuto molta attenzione per l’adesione del Partito democratico. Martedì varie testate, tra giornali e siti internet, hanno scritto che sarebbe stata il momento del «sorpasso pacifista» del Pd sui 5S utilizzando nel titolo la stessa espressione: Letta «brucia» Conte.

Tra i manifestanti molti parlamentari di Pd e +Europa, qualcuno di Azione. Il segretario dem arriva insieme a Laura Boldrini, scansa come può le domande su quanto avvenuto poche ore prima al Senato dove è stato eletto presidente Ignazio La Russa e ripete come un mantra che il suo partito sarà «in tutte le piazze pacifiste in cui non ci sia equidistanza tra aggredito e aggressore». «Veniamo senza metterci il cappello», aggiunge. Per Letta è il secondo presidio di una giornata impegnativa: poco prima è stato all’ambasciata iraniana contro la repressione dei manifestanti da parte del regime di Teheran.

Dal microfono intervengono soprattutto donne. Ucraina la prima, russa la seconda, bielorussa la terza. Raccontano gli orrori della guerra, il dolore continuo, la morte di persone conosciute, il disprezzo verso il presidente della Federazione russa Putin responsabile del massacro. Vista da qui la pace ha una forma chiara, senza smussature: liberazione completa di tutti i territori occupati dalle truppe russe. Dove «tutti» indica anche la Crimea, annessa nel 2014. Una questione che per Putin potrebbe rappresentare una sorta di linea rossa e su cui gli statunitensi, come trapelato nei giorni scorsi, non hanno una posizione netta.

«Siamo venuti all’ambasciata russa a dire: ritiratevi dall’Ucraina. Solo così ci sarà la pace», afferma Lia Quartapelle, tra le esponenti Pd più atlantiste. Luigi Manconi, ex senatore dem, sostiene che l’ostacolo alle trattative è Putin e che l’escalation è il prodotto dell’imperialismo russo. Emma Bonino, ex parlamentare di +Europa non rieletta, promette che il capo del Cremlino finirà davanti alla corte penale internazionale dell’Aia. Di tono un po’ diverso l’intervento di Angelo Bonelli, segretario dei Verdi, il quale chiede «una forte iniziativa diplomatica che coinvolga Cina, India, Usa ed Europa per portare Putin al cessate il fuoco».

Secondo Angelo Moretti, fondatore del Mean, per parlare di pace è necessario andare a Kiev e costruire relazioni con gli ucraini che stanno soffrendo la guerra sulla propria pelle. «Sappiamo che c’è un rischio di escalation nucleare – afferma – ma non possiamo pensare che questo conflitto riguardi solo qualcun altro».

In piazza non ci sono le tante organizzazioni che hanno costituito il cartello «Europe for peace» e che, oltre a numerose carovane solidali in Ucraina, hanno organizzato la manifestazione nazionale del prossimo 5 novembre a Roma. Che qualcuno ha impropriamente provato a ribattezzare «la mobilitazione di Conte».

«Il presidio all’ambasciata russa è rispettabile. Ma noi abbiamo condannato l’aggressione di Putin già il 24 febbraio. Adesso siamo in una fase politica diversa e stiamo lavorando alla proposta di una conferenza internazionale di pace», afferma Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento recentemente tornato da Kiev. Secondo Valpiana i pacifisti devono stare molto attenti a non farsi strumentalizzare dalle forze politiche. Come Azione, che ha fatto campagna elettorale sull’aumento delle spese militari, o il Pd, che non si è mai opposto all’export militare.

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