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Altri cinque anni ai gestori e più spiagge ai privati

Altri cinque anni ai gestori e più spiagge ai privatiLidi – LaPresse

Beni comuni Sono le misure previste nella bozza di disegno di legge che il governo vorrebbe approvare rapidamente alla ripresa dei lavori in Parlamento. La Corte Ue e il Consiglio di Stato hanno già imposto chiaramente lo stop ai rinnovi automatici delle concessioni

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 18 agosto 2024

Sul tavolo di Palazzo Chigi c’è una bozza di disegno di legge che vorrebbe regalare altri 5 anni ai balneari e aumentare la privatizzazione delle spiagge. Nonostante le proroghe sulle concessioni demaniali siano proibite dal diritto italiano ed europeo, il governo sta lavorando all’ennesimo rinnovo automatico per gli attuali gestori, in barba all’Agcm che lunedì scorso ha sollecitato i comuni a concludere le gare entro dicembre. Inoltre il ddl vuole imporre di dare in concessione almeno il 15% dei litorali liberi di ogni regione, sottraendo così altre porzioni di costa pubblica. Le cinque pagine del documento, esaminate dal manifesto, propongono l’adozione del «Piano nazionale 2024-2029 per lo sviluppo delle attività sulle concessioni demaniali a uso turistico-ricreativo». Il piano prevede di aumentare la concorrenza facendo aprire nuovi stabilimenti balneari in «una percentuale non inferiore al 15% della risorsa regionale» disponibile. Per le concessioni storiche scatterà invece un meccanismo di proroghe variabili fino al 31 dicembre 2029, a seconda del tasso locale di occupazione dei litorali. Dopo di che potranno partire i bandi di gara.

La bozza è oggetto di un negoziato tra la commissione Ue e il governo italiano, che vuole approvarla si dice addirittura entro settembre. Le concessioni balneari sono scadute lo scorso 31 dicembre e sia il Consiglio di Stato che la Corte Ue hanno imposto lo stop ai rinnovi automatici che vanno avanti da 15 anni. Perciò è improbabile che la proroga al 2029 possa restare in piedi. Rispetto ai meccanismi dei bandi, il ddl stabilisce che i nuovi titoli dovranno avere una durata compresa tra 5 e 20 anni e scarica alle amministrazioni comunali il compito di individuare «i criteri per agevolare la partecipazione delle piccole imprese e delle imprese giovanili» nonché «l’eventuale numero massimo di lotti che possono essere aggiudicati a un solo offerente». Tradotto: gli enti locali non saranno obbligati a farlo, aprendo così alla possibilità di accorpamenti in maxi concessioni. Inoltre, il piano del governo non prevede alcun limite nazionale al numero massimo di concessioni per lo stesso soggetto e impone di favorire chi ha già esperienza professionale nel settore.

Il tema è controverso. Da una parte, l’Ue chiede di liberalizzare il settore dopo decenni di concessioni tramandate di padre in figlio; dall’altra, i meccanismi elaborati dal governo possono di fatto legittimare il passaggio da un oligopolio all’altro. Il ddl non prevede gare al rialzo economico, bensì richiede di privilegiare la qualità delle offerte, tenendo conto in particolare delle proposte «che valorizzino le specificità culturali, folkloristiche ed enogastronomiche del territorio». Ma dall’altra parte, introduce l’obbligo degli indennizzi per i titolari uscenti a carico dei subentranti – come richiesto dalle associazioni dei balneari – limitando di fatto l’accesso ai grandi capitali o ai precedenti operatori. Secondo la bozza, gli indennizzi dovranno essere stabiliti da una perizia asseverata e corrispondere «al valore aziendale, calcolato sulla base del valore patrimoniale, reddituale e di avviamento, e all’equa remunerazione degli investimenti effettuati». Si tratterebbe di cifre enormi, inaccessibili per i piccoli imprenditori, soprattutto nelle zone di alta valenza turistica. Così come sono stati immaginati dall’esecutivo, i bandi dunque potranno favorire una forma di privatizzazione di un bene pubblico ancora peggiore dell’attuale.

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