Di ambiente ed ecologia Francesco Tullio Altan – meglio noto come Altan – fumettista, vignettista e autore satirico italiano, parla da cinquant’anni. Nel suo stile, in pochi tratti racchiude saggezza e ironia dando vita a personaggi con un’anima forte che rimane intatta e trascende il tempo. A partire da Cipputi, il metalmeccanico in tuta blu che per Altan «resta saldamente un uomo di sinistra perché, malgrado quello che si dice e i tempi cambiati, per lui destra e sinistra esistono ancora», fino ad arrivare a Trino, personaggio che apparve in una striscia sulla rivista Linus nel 1974, alle prese con un pianeta troppo pieno di difetti e forse troppo difficile da gestire.

E proprio la salute della terra è il tema della mostra “Altan. Terra, omini e bestie”, una galleria di soggetti che a volte imbarazzano, fanno sorridere e riflettere, a cura di Giovanna Durì e in collaborazione con Kika Altan, visitabile a Tolmezzo (Udine) fino al 22 settembre.

Altan, il tema ecologista e ambientale è ricorrente nelle sue vignette: cosa è cambiato dagli anni ’70 ad oggi?
Le mie vignette sono tristemente attuali. Mi viene detto spesso e sono il primo a pensarlo. Oggi quello che è cambiato dagli anni ’70 è il clima, ma è cambiata moltissimo anche la conoscenza dei problemi da parte delle persone, nella società. Io non sono del mestiere ma ormai l’emergenza climatica è un dato di fatto. Quello che, invece, non è cambiato è la capacità di intervenire da parte della classe politica. Sono convinto che di fronte alla necessità qualcosa si faccia, insomma che qualcosa si possa muovere, però questi sforzi mi paiono davvero molto lenti e timidi.

Nel 2019 il MAXXI di Roma le ha dedicato una grande antologica “Pimpa, Cipputi e altri pensatori”. Qual è la novità di questa mostra?
Di mostre antologiche ne ho fatte diverse (e quest’ultima in effetti non lo è). Si è voluto dare una chiave diversa e la terra è un tema che ritorna nei decenni e, devo ammettere, ha ottenuto un buon risultato. Grazie a Giovanna Durì, c’è stata la possibilità di esporre materiale poco pubblicato, che incuriosisce, come ad esempio il Bestiario iniziato in Brasile e poi continuato in Europa. Allora, inizialmente, non c’era un progetto preciso.

Dicono che le sue vignette siano meglio di un editoriale dotto. Pensa che i giornalisti, o gli autori di vignette satirici come lei, abbiano ancora la forza di aiutare il mondo a riflettere?
Il mio lavoro è seminare qualche dubbio e proporre qualche punto di vista diverso sulle cose. Questo dovrebbe in teoria far riflettere, ma non sono sicuro che ciò accada. Per quanto riguarda la forza di vignettisti, di giornalisti e di chi scrive non ne ho idea, ma è ovvio che si tenda a sperare che sia così. La speranza, cioè, è sempre che qualcuno sia d’accordo con quello che si propone, ma si tratta di qualcosa che è sempre molto difficile da verificare.

Chi è giusto prendere in giro? E quali sono i suoi bersagli preferiti? I politici? Gli smargiassi? I potenti? I pericolosi?
Credo sia giusto prendere in giro quelli che nel piccolo o nel grande fanno danni. Attaccare i potenti e i nomi grossi, a dire il vero, mi è sempre sembrato un’attivita inutile perché a loro tutto questo passa sopra come fosse acqua fresca; quello che mi interessa di più è occuparmi di chi questi li vota. Insomma, quelli come me, quelli come tutti noi che facciamo il nostro lavoro di elettori ma poi ci lamentiamo di chi abbiamo eletto. Come dico spesso, mi interessano più gli elettori che gli eletti. L’interesse è sulle persone, sull’essere umano in generale e in questo la politica è un’attività importante e a volte invasiva.

Come fa a mantenere ancora l’equilibrio tra saggezza e ironia?
Non c’è un metodo cosciente, è difficile da spiegare, ma dopo molti anni di esperienza si impara a cercare gli spunti giusti tra le diverse notizie, a seguire con attenzione quanto accade intorno, in televisione, in radio. Un tempo lavoravo di notte e mi piaceva immergermi in lunghe storie a fumetti, ma era molto faticoso e ora non lo faccio più.

Come dicevamo, è difficile notare passi avanti nella gestione delle urgenze climatiche e ambientali, ma lei nutre particolare fiducia nei più giovani. Crede nelle loro proteste per il clima?
Mi sembrano battaglie necessarie e quando si è giovani queste cose si devono fare. A parte la visibilità, che c’è indubbiamente, non so però purtroppo quanto queste proteste possano incidere veramente sulle decisioni politiche. Quello che mi dà un minimo di speranza è che questi giovani sono molto più consapevoli e informati rispetto a come lo eravamo noi cinquanta anni fa e i problemi li conoscono bene, più da vicino.

A proposito di giovani, la Pimpa vede delle differenze tra i bambini degli anni Settanta e quelli di oggi?
La Pimpa è nata quasi cinquant’anni fa casualmente, mentre giocavo con mia figlia Kika, io non pensavo certo alla pubblicazione perché non avevo mai fatto nulla per bambini. Mi è sembrato il modo più semplice che avevo per comunicare con lei, disegnando. E sono rimasto piuttosto fedele a quell’approccio. Oggi qualcosa effettivamente è cambiato: i bambini che leggevano la Pimpa decenni fa, la leggevano fino ai sette o otto anni. I bambini di oggi della stessa età non lo fanno più e dicono che è roba per piccoli. I lettori della Pimpa oggi hanno circa quattro o cinque anni e posso dire che sono lo zoccolo duro e per me non sono cambiati granché. Li trovo simili nei decenni.

Cosa pensa del predominio dei cosiddetti social tra i giovani? La incuriosisce?
Fino a un certo punto. Non sono un frequentatore dei social e li conosco poco, si tratta davvero di qualcosa che sento molto lontano.

E ha già pensato di ironizzare sugli influencer?
No, non mi interessa neanche questo.

Colpisce con la stessa intensità uomini e donne? O c’è galanteria nella sua ironia?
Devo ammettere che le donne in genere le tratto meglio, perché mi sembrano più meritevoli, più serie, ecco.