I Verdi e Sinistra italiana alzano il prezzo. In termini di seggi, perché tre collegi dopo che Calenda se ne è aggiudicato il 30% ormai non bastano. Ci vuole molto di più e non è affatto escluso che l’obiettivo sia la «pari dignità», cioè un altro 30% dei collegi attribuito a Europa Verde. Ma il problema si pone anche, se non soprattutto, in termini di equilibri politici, perché il diktat del leader di Azione, accolto praticamente in blocco da Letta, ha trasformato «l’alleanza elettorale» in una coalizione centrista che, storcendo il naso e in nome delle necessità imposte dalla legge elettorale, accoglie come parenti poveri le forze riunite in Europa verde.

FRATOIANNI E BONELLI aprono le ostilità di buon mattino, facendo saltare l’incontro pomeridiano con Letta da loro stessi chiesto: «Registriamo un profondo disagio nel Paese. Essendo cambiate le condizioni sono in corso riflessioni che necessitano di un tempo ulteriore». Il «profondo disagio», il leader di Si lo registra soprattutto nel suo partito. In Direzione il 35% aveva votato contro l’accordo, alcune Federazioni come Roma e Firenze erano già in rivolta. L’affondo di Calenda ha moltiplicato i malumori. Anche perché, galvanizzato dal successo, il centrista mena come un fabbro: «Ho firmato un accordo con Letta e il mio interlocutore è lui. Se Fratoianni non condivide l’agenda Draghi è un problema suo non mio». Del resto la formula dei due front runner, Letta e Calenda, basta e avanza per esigere un radicale «riequilibrio».

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IL CARTELLO DI SINISTRA tiene la tensione alta per tutto il giorno. Soprattutto i Verdi fanno filtrare che la rottura è a un passo. Gli strumenti di pressione non mancano. Se Ev si coalizzasse con Conte il prezzo in termini di collegi sarebbe per Letta caro: costerebbe 14 sconfitte. Conte sembra aprire le porte: «C’è sempre la possibilità di condividere l’agenda sociale con le persone serie che vogliono farlo». Ma il doppio forno è più apparente che reale. L’apertura di Conte è incerta e dal quartier generale dei 5S di segnali veri non ne sono arrivati. Senza contare un problema grosso come una montagna: Ev non deve raccogliere le firme grazie ad Art. 1, che rappresenta la stragrande maggioranza di quella finzione politica che è stata LeU. Nell’ultimo giorno prima dello scioglimento delle camere Art. 1, su richiesta del Pd, ha cambiato nome al gruppo inserendo Sinistra italiana così da permetterle di presentarsi senza dover raccogliere le firme. Ma non è affatto detto che il dono verrebbe mantenuto anche ove Sinistra italiana si schierasse contro la lista Democratici e Progressisti, nella quale troveranno posto, nel proporzionale, cinque esponenti di Art. 1 incluso il ministro Speranza.

LA ROTTURA, nonostante il rullare dei tamburi di guerra, non fa comodo a nessuno e in realtà non la vuole nessuno. Non a caso dal quartier generale di Conte segnalavano ieri sera che, nonostante il segnale lanciato in mattinata, né Fratoianni né Bonelli hanno cercato il leader dei 5S. Dagli spalti del Pd quasi tutto tace. Il segretario, l’unico in grado di riequilibrare la situazione, prende tempo.

Orlando però si fa sentire: «Nervi saldi. Bisogna costruire un’alleanza in grado di battere la destra nei collegi. Credo che ci siano le condizioni per definire con Si e Verdi alcuni punti comuni sui temi della transizione ecologica e del lavoro».

La formula che permetterebbe il magico riequilibrio sarebbe insomma un programma comune Pd-Ev parallelo ma non alternativo a quello Pd-Azione: un documento stilato con certosina cura per evitare attriti infilandoci voci non citate nel patto firmato con Calenda, come il salario minimo, l’accelerazione della transizione ecologica e la riforma della rappresentanza nei luoghi di lavoro. Ma Calenda si mette di mezzo: «L’agenda Draghi è il perno del patto e non si rinegozia, fine della questione».

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LA VOCE IN SOSPESO, il numero di collegi per Ev, non è affatto di facile risoluzione ma alla fine un accordo quasi certamente si troverà. Quanto possa apparire credibile un edificio così fatiscente è un altro paio di maniche. Tanto più che il listone del Pd deve già subire la farsa della presenza di Di Maio, si può capire con quanta soddisfazione accolta a Bibbiano. La proposta era stata fatta anche a Renzi, dignitoso abbastanza da rifiutarla con sdegno a differenza di Giggino.