Internazionale

Alle porte di una Gaza esausta pochi aiuti e tanti soldati

Khan Yunis, i soccorsi in un palazzo distrutto Ap/Ahmad HasaballahKhan Yunis, i soccorsi in un palazzo distrutto – Ap/Ahmad Hasaballah

Senza pietà Venti camion di medicinali al valico di Rafah. Il ministro Gallant annuncia l’invasione

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 20 ottobre 2023
Michele GiorgioGERUSALEMME

Sul versante egiziano del valico di Rafah oggi isseranno la bandiera dell’Onu accanto a quella egiziana. Dovrebbe esserci anche il segretario generale delle Nazioni unite Antonio Guterres ad assistere all’ingresso a Gaza dei primi 20 camion carichi di generi di prima necessità, medicine, kit di pronto soccorso e molto altro.

Non è sicuro che saranno fatte passare anche le autocisterne cariche del gasolio atteso in modo particolare dagli ospedali e da tutte le strutture sanitarie per permettere il funzionamento dei reparti e dei servizi più importanti. L’ospedale Shuhada Al-Aqsa, nel centro della Striscia di Gaza, ha comunicato di aver finito le medicine salvavita, gli altri ne hanno ancora per pochi giorni. «La situazione è drammatica: i medici sono esausti, lavorano ininterrottamente da 12 giorni. Mi hanno appena informato che stanno operando senza anestesia perché è ormai esaurita», riferiva ieri preoccupata Raquel Martì funzionaria dell’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi. È giunta però anche una buona notizia. È riapparso il chirurgo Ghassan Abu Sitta, una delle voci più autorevoli di Gaza rivolte al mondo. Si temeva che fosse rimasto ucciso o ferito in un raid aereo.

Questi primi aiuti, ai quali Israele ha dato il via libera solo per l’insistenza di Joe Biden, difficilmente risolleveranno gli animi a Gaza dove i palestinesi dal 7 ottobre cercano con grande difficoltà di sopravvivere agli attacchi aerei e alla carenza di acqua, cibo e medicine. Il conteggio dei morti in meno di due settimane ha superato quota 3.700. Tra questi ci sono 1.500 minori, sottolinea il ministero della salute palestinese. Circa la metà delle vittime ha meno di 18 anni, alcuni sono neonati, bambini di pochi anni, la rappresentazione di una popolazione molto giovane che ha conosciuto solo il blocco israeliano scattato nel 2007 dopo la presa del potere nella Striscia di Gaza da parte di Hamas a danno dell’Autorità nazionale palestinese del presidente Abu Mazen.

«VOGLIAMO SICUREZZA, siamo civili non soldati. I bambini, anche i più piccoli, sono finiti tutti in strada, senza cibo né acqua», gridava ieri a una agenzia di stampa Salwa Abu Taya, stringendosi al petto il figlio piccolo. «Questi aiuti umanitari sono insignificanti, serviranno a poco se non termineranno i bombardamenti sulle nostre case. Vogliamo che le persone non vengano uccise nelle loro case. Di questo abbiamo bisogno più di ogni altra cosa», ha aggiunto Awad El-Dali, 65 anni. Nel campo profughi di Jabaliya ieri poco prima dell’alba sono state colpite altre abitazioni e tre edifici di oltre dieci piani. Due ragazzini sono rimasti per ore sotto le macerie prima di essere estratti vivi dai soccorritori. Continua lo scambio di accuse tra Israele e Jihad islamico sulla responsabilità dell’esplosione che martedì sera ha danneggiato in buona parte l’ospedale Ahli di Gaza city. Israele afferma di non essere coinvolto e ha mostrato mercoledì documenti e video a sostegno della sua versione dell’accaduto. Alcune parti internazionali inoltre sostengono che i morti non sono stati 471 come ha comunicato dal ministero della sanità a Gaza, ma tra cento e trecento. Allo stesso tempo, l’agenzia Sanad di Al Jazeera ha indagato la tesi israeliana che a colpire l’ospedale sarebbe stato un razzo malfunzionante del Jihad.

ANALIZZANDO filmati provenienti da diverse fonti, inclusa una trasmissione in diretta di un giornalista di Al Jazeera e quelle, sempre in diretta, di Israele, l’indagine rivela che non c’è stato il lancio fallito di un razzo. Secondo Sanad, il lampo attribuito a una mancata accensione del razzo era in realtà coerente con il sistema di difesa israeliano Iron Dome che intercetta il missile lanciato dalla Striscia di Gaza e lo distrugge a mezz’aria. La gente di Gaza è isolata dal mondo esterno e ha poca conoscenza e interesse per la diplomazia internazionale che finora ha fatto poco o nulla per fermare l’offensiva aerea israeliana. Al contrario ha dato ampio sostegno alle operazioni militari israeliane che stanno avendo risultati catastrofici per i civili palestinesi e non per Hamas che pure sarebbe il loro obiettivo dichiarato. Comunque sia la guerra continua e si intensifica.

L’offensiva israeliana di terra può scattare in qualsiasi momento, diceva ieri sera un membro del gabinetto di guerra alla Abcnews. Il premier Benyamin Netanyahu si è detto certo della «vittoria». E il ministro della difesa, Yoav Gallant, ha detto alle truppe schierate a ridosso di Gaza che presto arriverà l’ordine di entrare nel territorio controllato da Hamas. «Ora vedi Gaza da lontano, presto la vedrai dall’interno – ha detto rivolgendosi agli uomini della Brigata Givati – L’ordine arriverà».

L’INTERROGATIVO di molti è in cosa consisterà il successo dell’offensiva secondo i parametri di Israele che per ora ha messo in atto solo una durissima punizione collettiva contro Gaza per i 1.400 morti causati dall’attacco di Hamas. L’obiettivo, secondo la Reuters, è distruggere il labirinto di tunnel sotterranei che il movimento islamico ha costruito negli anni. Ma è più facile a dirsi che a farsi. I carri armati e la potenza di fuoco servono a poco in questo caso e l’ala militare di Hamas, le Brigate Ezzedin al Qassam, si è mobilitata per affrontare un’invasione, posizionando mine anticarro e ordigni esplosivi per tendere imboscate alle truppe. Alcuni esperti militari credono che le forze israeliane, più che occupare tutta la metà settentrionale di Gaza, proveranno a uccidere o a catturare quanti più membri di Hamas e a far saltare in aria il più possibile tunnel e razzi. Quindi troveranno un modo per dichiarare la vittoria e uscire da Gaza.

UN PIANO FIGLIO anche della mancanza in casa israeliana di soluzioni politiche per la Striscia. Washington vorrebbe ridare energia all’Anp di Abu Mazen ma Israele non ha interesse a dare più potere a una entità che ha sistematicamente boicottato e isolato negli ultimi 14 anni, da quando Netanyahu è al potere. Infine ci sono il presidente egiziano al-Sisi e re Abdallah di Giordania – ieri hanno tenuto un nuovo vertice – che si oppongono categoricamente allo sfollamento dei palestinesi nei loro paesi. Un nuova Nakba dopo 75 anni è la soluzione che forse piace alla destra estrema israeliana ma i palestinesi non abbandoneranno mai più la loro terra.

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