Ci sono centri commerciali vicino Firenze che festeggiano il 25 aprile stando aperti («Lo shopping è una liberazione») e ci sono fabbriche a Bologna che tengono assemblee sindacali retribuite sui valori della Resistenza invitando centinaia di studenti delle medie. Non una fabbrica qualunque: la Ducati che sforna moto ed è campione del mondo di MotoGp.

Una fabbrica con una storia lunga e gloriosa. Sancita dalla grande partecipazione allo sciopero del primo marzo 1944 e dall’occupazione post partigiana del ’48 per l’attentato a Togliatti.

La redazione consiglia:
La festa giovane: l’inserto speciale del 25 aprile

Una storia che continua a vivere grazie a un contratto aziendale fra i più avanzati in fatto di diritti e condivisione, proposto dalla Fiom, condiviso da Fim Cisl e Uilm e accettato dall’azienda nel 2019 che prevede lo studio della Costituzione.

Fondata il 4 luglio 1926 dai fratelli Ducati per sfruttare i brevetti radio depositati, si è trasformata nella produzione di condensatori e poi delle moto, diventate famose in tutto il mondo.

«La mattina del 9 settembre 1943, il giorno dopo l’armistizio, una ventina di camion circondò l’edificio della Ducati e diede inizio all’occupazione tedesca: la fabbrica doveva produrre per il Reich – ricorda il rappresentante sindacale Rsu della Fiom Totò Carotenuto – . Ma nelle ore notturne gli operai trafugarono moltissimo materiale dando vita a circa 70 piccoli stabilimenti clandestini negli scantinati del quartiere e della città».

La guerra, la mancanza di libertà, la mancanza di generi alimentari portarono allo storico sciopero del primo marzo del 1944. Molti operai e operaie furono subito licenziati e decisero subito di aderire alla resistenza e ai gruppi partigiani. «Vennero riassunti dopo la Liberazione, tutti i lavoratori aiutarono la ricostruzione della fabbrica. La Ducati si distinse subito: fu la prima fabbrica ad avere una mensa aziendale e ospitare alcuni orfani di Napoli: dieci bambini su richiesta dall’Unione donne italiane e della commissione interna: le operaie dopo il lavoro accudivano i bambini», conclude Carotenuto.

Per l’attuale responsabile Risorse umane (Hr) di Ducati Raffaella Ponticelli «quello della Resistenza è un tema che sentiamo vicino, Ducati da sempre ha un interesse attivo alla responsabilità sociale».

La vicesindaca di Bologna Emily Clancy ha definito la «la memoria della Resistenza come gli ingranaggi del motore che fanno funzionare la società e permettono di immaginarla migliore» mentre la presidente del quartiere Elena Gaggioli ha ricordato come «Borgo Panigale, comune riunito a Bologna dai fascisti perché troppo sovversivo, raccontato nel “Il Diavolo al Pontelungo” di Bacchelli che racconta l’arrivo di Bakunin».

I ragazzi delle scuole medie Alessandro Volta di Casteldebole (luogo dell’eccidio nazista del 30 ottobre 1944 l’esecuzione di dieci civili) hanno lavorato sulla storia e letto stralci di lettere di partigiani della Ducati. Come «Norina Lipparini, operaia entrata poi nella brigata Bolero, che organizzò una manifestazione delle donne nel giugno ’44 dove furono bruciati i registri di leva», come «Marino Schiavina, operaio Ducati «assassinato per rappresaglia dai tedeschi», come «Giulia Sarti, operaia Ducata del battaglione Tarzan della VII Gap che preparò lo sciopero del 1° marzo 1944, catturata senza mai rivelare nulla sui suoi compagni», come «Romano Poli operaio della Ducati della battaglione Monaldo della Bolero a Monte San Pietro»; come «Anna Zucchini operaia che diede il segnale d’inizio dello sciopero del 1° marzo, arrestata e licenziata».

Poi è stato il turno di Gastone Malaguti, partigiano della VII Gap e penultimo sopravvissuto della battaglia di Porta Lame, che ha ricordato l’occupazione della Ducati del 14 luglio del 1948: «C’era stato il 18 aprile, avevamo perso le elezioni ed eravamo un po’ arrabbiati. Io lavoravo alla Fornace Tunioli a Borgo Panigale. Arrivò la parola d’ordine ci radunammo alla Ducati, c’era il compagno Linceo Graziosi che era il responsabile della Commissione interna (nome di battaglia Renato che poi fece parte del primo Consiglio comunale post liberazione, ndr). Non eravamo neanche disarmati – sorride – . C’era una specie di osservatorio, c’avevamo messo sopra una mitragliatrice a quattro canne antiaerea per stare dalla parte dei bottoni. Bisogna mettersi nei panni di ragazzi di 18-19 anni scappati dalla Gestapo, dicevamo: “Abbiamo combattuto tanto e guarda un po’ ci cacciano via dal governo e ci uccidono Togliatti” – ricorda Malaguti – . Arrivò poi il senatore Arturo Colombi che ci disse: “Per amor di dio, siete impazziti? Così rischiamo la guerra civile”. E allora ci fermammo», conclude il “biunden” tra gli applausi di lavoratori e studenti.