Qualcosa di nuovo sotto il sole ( Black Coffee, pp. 358, euro 18, traduzione di Sara Reggiani), il vivace romanzo della scrittrice statunitense Alexandra Kleeman racconta, sullo sfondo delle peripezie californiane di Patrick Hamlin, scrittore che insegue a Los Angeles il sogno che un suo libro diventi un film, una realtà segnata dal cambiamento climatico e da trasformazioni che riguardano i corpi e le menti e non solo il paesaggio naturale circostante. Sospeso tra ironia e pericolo, tra indagine sulle trasformazioni del mondo e ricerca del peso che la «verità» può ancora avere in tale contesto, il libro conferma le doti di Kleeman, già autrice de Il corpo che vuoi e la raccolta Intuizioni, entrambi per Black Coffee, e introduce ad una sorta di distopia realistica del presente. Questa sera alle 18 al Castello Sforzesco di Novara, la presentazione con Kleeman, Lorenza Pieri e Mauro Garofalo.

Un mondo dove l’acqua è sostituita da un prodotto chimico, gli incendi hanno proporzioni devastanti, i big dell’economia mettono i propri interessi al di sopra dell’umanità. Più che un possibile futuro, il suo romanzo descrive una realtà che ci è familiare…
Quando ho iniziato a scriverla, ho pensato ad una storia sul futuro prossimo, riconoscibile ma diverso da ciò cui assistiamo ora. Poi, mano a mano, le cose fantascientifiche che avevo immaginato hanno cominciato a somigliare a ciò che vedevo nei tg: una città che doveva trasportare l’acqua da una contea vicina, incendi sempre più incontenibili che divampano ogni estate. Credo sia sempre più difficile distinguere ciò che è familiare da ciò che non lo è: il cambiamento climatico rende il mondo strano.

Tra i personaggi, Alison appare fragile, non riesce a sopportare gli effetti della crisi climatica e si rifugia in una zona naturale in preda a quella che Patrick, il marito, considera depressione. In realtà, non riesce a vivere in un mondo che va verso la distruzione.
Il personaggio di Alison mi sta particolarmente a cuore: capisce che molte cose non vanno nel mondo e non le accetta facilmente come altre figure della storia. Questo tratto può renderla anormale agli occhi degli altri, ma è davvero positivo essere in grado di affrontare con calma la vita mentre si è nel pieno di una crisi globale? Ai miei occhi, la malinconia rende Alison più in contatto con la realtà, abbastanza coraggiosa da guardare alla situazione senza distrarsi dal disastro o ignorarlo. Penso che dovremmo chiederci qual è la giusta risposta alla crisi: ignorare ciò che ci turba o spronarci ad agire?

L’ambiente naturale californiano e gli animali che lo popolano hanno grande rilievo nel libro, come un personaggio che esprime un proprio punto di vista e una propria consapevolezza.
Mi piace l’idea che il paesaggio della California sia quasi un personaggio a se stante: volevo dare alla terra quel tipo di vivacità, in modo che il lettore potesse vederla come una cosa viva e in movimento piuttosto che come uno sfondo in qualche modo congelato. Avendo girato il Paese quando ero bambina, sono consapevole del carattere specifico e della personalità dei diversi paesaggi: una voce che puoi sentire se ascolti da vicino e con attenzione.

Sulla copertina del libro compaiono le parole d’elogio dello scrittore Jeff Vandermeer: che rapporto ha con la fantascienza e pensa che un romanzo possa ignorare la mutazione delle forme di vita in cui siamo immersi?
Amo molto Vandermeer e la fantascienza che è sempre stata una delle mie letture preferite: in quelle storie c’è una critica implicita all’assunto che la vita può essere solo ciò che è attualmente. Ora però credo si debba cambiare il modo in cui rappresentiamo la realtà ordinaria in modo da contenere alcuni degli elementi strani e apocalittici che caratterizzano questo tempo: incendi, siccità, crisi dei raccolti, il clima estremo che affrontiamo tutti ma raramente vediamo rappresentato nei libri sulle nostre vite. Come esseri umani stiamo cambiando senza che ne siamo del tutto consapevoli, ma abbiamo bisogno di vederci davvero per capire come adattarci al futuro.