«Oggi annunciamo un’altra svolta sensazionale verso la pace. Un altro paese arabo entra nel cerchio della pace: questa volta si tratta della normalizzazione fra Israele e Sudan». Benyamin Netanyahu ha commentato con queste frasi l’annuncio fatto da Donald Trump dell’accordo che mette fine allo stato di belligeranza tra Khartum e Tel Aviv e darà inizio alla normalizzazione tra i due paesi. Poco prima il premier israeliano aveva avuto un colloquio telefonico con i leader sudanesi – il premier Abdalla Hamdok e il capo del consiglio di transizione Abdel Fattah al Burhan – e il presidente americano. Tutto in effetti era pronto da giorni, in particolare da mercoledì, quando una delegazione israeliana di alto profilo si è recata a Khartum. Quindi ieri mattina Trump ha annunciato la rimozione del Sudan dalla lista dei paesi che gli Stati uniti accusano di «sponsorizzare il terrorismo». A quel punto si è capito che l’annuncio della terza normalizzazione dopo quelle tra Israele con gli Emirati arabi e il Bahrain era una questione di ore.

 

Il Sudan aderisce all’Accordo di Abramo, firmato il 15 settembre alla Casa Bianca. Quanto i nuovi leader sudanesi che hanno rimosso Omar al Bashir siano andati a braccia aperte verso i loro interlocutori israeliani è difficile valutarlo. Certo lo scenario è mutato, e non poco, rispetto a 18 anni fa quando il mondo arabo si diceva unito nel sostenere il principio «della pace per la terra» e che la normalizzazione con Israele si sarebbe realizzata solo in cambio del ritiro dai territori arabi e palestinesi occupati dallo Stato ebraico nel 1967. Ma l’impressione è che il Sudan, con una popolazione ridotta alla fame, sia stato spinto all’accordo più di ogni altra cosa dal diktat di Trump: niente rimozione dalla lista degli sponsor del terrorismo e aiuti internazionali senza la normalizzazione con Tel Aviv.

 

Comunque sia, il meno celebrato dei tre accordi in realtà è il più significativo. Khartum è stata una delle capitali più schierate a favore dei diritti dei palestinesi e in passato ha accolto migliaia di combattenti dell’Olp. «Il Sudan che normalizza i rapporti con l’occupazione israeliana è una nuova pugnalata alla schiena ma non piegherà i palestinesi che proseguiranno la lotta per i loro diritti», ha commentato Wasel Abu Yusef, del Comitato esecutivo dell’Olp.

 

Netanyahu esagera ma fino a un certo punto quando parla di svolta sensazionale. Il Sudan di fatto è stato impegnato in una guerra a distanza con Israele.  Khartum ha sostenuto il movimento islamico Hamas e ha mantenuto un’alleanza militare e politica con l’Iran e il movimento sciita libanese Hezbollah. Tra il 2008 e il 2014 l’aviazione con la Stella di Davide ha colpito più volte nel paese africano. E il premier israeliano ieri ha ricordato che a Khartum, nel 1967, furono enunciati i «tre No» della Lega araba: «No alla pace con Israele, no al riconoscimento di Israele, no a trattative con Israele».

 

Cinque decenni dopo Israele arriva ufficialmente a Khartum e Porto Sudan con i suoi apparati di sicurezza e di intelligence.